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Cleopatra, Poppea e Augusto, 10 segreti beauty da conoscere

Psimuthion come cipria, estratto di fucus per il fondo, labbra rosse con pigmento di mollusco

Redazione Ansa

L’attenzione per la bellezza è antica come il mondo. A svelare i segreti beauty dei nostri antenati ci ha pensato Rossano De Cesaris, make up artist delle star e docente di trucco professionale nel suo ultimo libro, “Trucco e bellezza nell’antichità”, in libreria dal 4 aprile. L’autore propone un viaggio lungo millenni alla scoperta della cosmesi e dell'evoluzione di tecniche e prodotti. Sette civiltà racchiuse in poco più di cento pagine e tantissime curiosità sulle icone di bellezza del passato. Sfogliando il libro si scopre, ad esempio, che Cleopatra, oltre all’inconfondibile occhio ben delineato, amava lo smalto color ruggine, che il segreto della pelle candida e vellutata di Poppea, moglie di Nerone, fossero i bagni nel latte d'asina e che la depilazione maschile era praticata già nella Roma Imperiale, tanto che Cesare e Augusto si depilavano le gambe con gusci di noce iridescenti. Minimo comune denominatore: la ricerca della perfezione, una costante in ogni epoca.
Alcune delle tendenze beauty attuali erano già in voga secoli fa. Le labbra rosse erano un elemento fondamentale del trucco della donna cretese e micenea, specialmente se sacerdotessa. Una curiosità: «Erano in nuance con i capezzoli, anch’essi tinti di rosso ed esposti alla pubblica vista. Il pigmento veniva estratto da un mollusco, il “murice spinoso”, e mischiato al gesso per colorare le guance», aggiunge De Cesaris.
«Nell’antico Egitto gli uomini si radevano quotidianamente. La barba incolta era associata a uomini di bassa estrazione sociale oppure a condizioni di vita particolari, come il lutto o un forte disagio emotivo. Vi erano molti barbieri disponibili e peraltro i corredi personali includevano diversi tipi di rasoi, forbici e pinzette», commenta il make up artist.
L’obiettivo di bellezza delle donne greche era la pelle candida, che ottenevano applicando sul viso lo psimuthion, ossia il bianco di biacca, il cosmetico più diffuso nell’antica Grecia. «La polvere bianca della biacca, sebbene altamente tossica e che portava a un lento e progressivo avvelenamento del sangue, risultava molto coprente e conferiva all’incarnato un aspetto ceruleo, nascondendo gli inestetismi e uniformando la colorazione della pelle. Perfetta per ostentare un incarnato pallido, simbolo di virtù e di purezza», sottolinea De Cesaris.
A Roma, come ad Atene, le donne ricorrevano ad una sorta di fondotinta per rendere chiara la pelle del viso. Le gote venivano vivacizzate da una polvere di ematite o all’estratto di fucus o ocra rossa. Grande attenzione anche alle sopracciglia che venivamo modellate con le pinzette, in modo da renderle piuttosto arrotondate e abbastanza vicine tra loro, come già era consuetudine nel mondo greco. «Per evidenziare le sopracciglia venivano marcate con un bastoncino di carbone o con lo stoppino di lucerna; potevano essere utilizzati anche l’antimonio polverizzato, la fuliggine o una mina di piombo, sfumati successivamente con una leggera quantità di cenere», sottolinea l’autore. A completare la cura delle matrone c’erano poi dettagli non trascurabili come le unghie, tagliate e tinte con l’henné. «Alcuni tra gli smalti più in voga fra le matrone erano composti verosimilmente da grasso e sangue di pecora».

 

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