(di Valentina Roncati) (ANSA) - ROMA, 4 OTT - Dal diritto
all'affettività alla necessità di nutrire ancora la speranza, al
desiderio, infine, di non finire i propri giorni in cella: 250
detenuti della Casa Circondariale di Rebibbia oggi hanno
incontrato i giudici della Corte Costituzionale e hanno posto
loro numerose domande nel teatro del penitenziario, dopo aver
ascoltato la lezione del presidente della Corte, Giorgio
Lattanzi.
Alla fine dell'incontro ci sono state strette di mano e
persino abbracci tra i giudici ed alcuni detenuti. Come
Annamaria, 68 anni, che ha detto di essere "vedova, mamma,
nonna" e ha lamentato di poter telefonare una sola volta alla
settimana ad una sola persona: "Noi vogliamo più affettività per
non farci dimenticare dal mondo lasciato fuori", ha detto. Le è
stato risposto che i colloqui telefonici verranno prossimamente
ampliati anche con la sperimentazione di Skype in tre istituti
penitenziari. Applauditissimo è stato l'intervento del detenuto
Stefano che ha detto che sono "molti i detenuti muoiono in
carcere". A lui ha risposto l'ex presidente del Consiglio
Giuliano Amato, anch'egli giudice costituzionale, che ha
evidenziato, in un intervento molto applaudito, come "morire in
carcere per cure inadeguate è inammissibile: ci battiamo perchè
non accada in Africa e poi accade in Italia". Eppure se un
giudice di sorveglianza non concede questo diritto, per errore
ad un detenuto, ha proseguito Amato, questi può rivolgersi alla
Corte Costituzionale in Germania, ma non in Italia, dove il
ricorso diretto alla Corte Costituzionale non è mai stato
introdotto. Il detenuto Paolo Scarlata ha sostenuto davanti alla
Corte "che la gran parte dei detenuti gioca a carte o passeggia
nelle sezioni", Francesco De Masi ha chiesto invece perchè le
attività collaterali in carcere, tipo il teatro, vengano viste
solo come intrattenimento e non invece come strumento di
formazione.
Vincenzo, che vive nel reparto di Alta sicurezza, anche se si
sta per laureare e ha troncato i legami con la criminalità, ha
pene accessorie tali che, anche quando uscirà dal carcere, non
potrà andare all'estero perchè ha un divieto di espatrio.
Giorgiana è preoccupata perchè ha sentito parlare di
annullamento delle norme sui benefici e le misure alternative e
spiega che tutto questo, per i detenuti, se attuato "sarebbe
sconvolgente". I 10 giudici costituzionali - Viganò, De Pretis,
Cartabia, Amato, Amoroso, Antonini, Sciarra, Modugno e Coraggio,
più il presidente Lattanzi - hanno spiegato che "il condannato
non è il suo reato, è una persona in continua evoluzione. E la
stessa Costituzione scommette sul cambiamento". Giuliano Amato
ha addirittura rivolto un appello al sottosegretario Jacopo
Morrone, presente all'incontro, affinchè si occupi del tema
dell'interdizione del diritto di voto, tema posto dal detenuto
Roberto Pecci: "Togliere il diritto di voto è togliere il
diritto alla cittadinanza", ha osservato Amato. Filippo Origano
ha posto invece il tema del "diritto alla speranza": a lui è
stato inflitto un ergastolo ostativo: dopo 25 anni di carcere ha
ha rescisso i legami col passato, ha fatto un percorso
rieducativo, ha ammesso gli errori, eppure per lui il termine
della detenzione coinciderà con la durata della vita.
"Della Costituzione hanno soprattutto bisogno le persone che
nella società, per ragioni diverse, vengono a trovarsi in
condizioni di debolezza, di subordinazione o di dipendenza - ha
sottolineato il presidente Lattanzi, chiudendo l'incontro - e
che perciò vedono limitata o condizionata in vario modo la
propria vita, come accade alle persone detenute. E massima è la
tutela che assicura a tutti la nostra legge fondamentale, con i
suoi doveri e le sue responsabilità, ma anche con i diritti e le
tutele". (ANSA).
Detenuti-giudici a confronto a Rebibbia
Da Roma il "Viaggio nelle carceri" della Corte Costituzionale