(di Michele Albanese)
(ANSA) - CATANZARO, 26 APR - Spesso mi chiedono cosa
significhi vivere con la scorta. E quando rispondo che questa
misura di protezione, non voluta né cercata ma imposta per
ragioni di sicurezza dello Stato, costituisce una sorta di
confessionale, una dimensione intima che ti aiuta a capire molte
cose, in tanti storcono il naso o mi chiedono perché la vivo
così.
Nella mia vita ho sempre evitato il vittimismo, la retorica
becera e l'ipocrisia. Sì, l'esperienza della scorta mi ha
cambiato la vita, mi sta servendo a conoscere bene il mio mondo,
che nell'ipocrisia e nella retorica spesso ci sguazza. Ho fatto
solo il mio dovere, come lo fanno tantissimi colleghi
giornalisti, che non si nascondono dietro i condizionali.
Lo ammetto, la scorta la vivo con sofferenza, accentuata
davanti ai sorrisi degli stolti o alle provocazioni dei
professionisti della superficialità. Io ritengo di aver fatto
solo il mio dovere, nulla di più. Ho fatto incazzare qualche
'ndranghetista con il mio lavoro, ma - ripeto - ho fatto solo
quello che dovevo, come tanti che ancora credono nel futuro del
nostro Paese.
La mia dimensione protetta la vivo come un confessionale, il
mio confessionale, nel quale entrano solo in pochi, perché gli
altri, tanti altri, non capiscono. Anzi dimenticano presto. E
dentro questo mio mondo mi danno l'anima e nascondo le mie paure
e la mia rabbia, cercando conforto in quelli che intendono la
vita e il lavoro come me. Dentro questo mio mondo trovo la forza
per rincorrere i fantasmi che anneriscono la mia terra e la mia
gente. Mi incazzo quando cercano di collocarmi sopra piedistalli
di cartone, come una sorta di icona da strumentalizzare alla
bisogna. Io sono solo un giornalista al quale è capitato di
vivere un periodo della vita sotto scorta, ma non per questo ho
definitivamente perso la mia libertà, anzi.
La speranza che continua a sorreggermi è quella di poter
continuare a fare qui il mio lavoro, a sporcarmi le mani e a non
girarmi dall'altra parte, sopportando per come posso questo
periodo della vita e sperando che duri poco.
Voglio tornare ad utilizzare il mio taccuino da giornalista
libero: è questo il mio sogno prevalente. Tornare ad essere me
stesso e stimolare con il mio lavoro l'interesse di chi oggi non
percepisce i pericoli delle nuove mafie, i loro disegni, le loro
strategie sempre più raffinare e grigie. Temi che sono ormai
spariti da molte agende pubbliche.
Michele Albanese, una vita sotto scorta
Voglio solo tornare a utilizzare il mio taccuino da uomo libero