Calabria

Simona Dalla Chiesa, che emozione per la serie tv

"Importante fare capire ai giovani che democrazia non è regalo"

Redazione Ansa

(ANSA) - CATANZARO, 10 GEN - "Emozione profonda", insieme ad "un senso di nostalgia per i bei tempi familiari" ed "all'orgoglio per ciò che ha rappresentato per la storia del Paese la figura di Carlo Alberto Dalla Chiesa, in prima linea per salvare la democrazia dalla minaccia del terrorismo". Sono alcune delle sensazioni che ha suscitato in Simona Dalla Chiesa, la figlia più piccola dell'uomo che prima combatté e sconfisse il terrorismo e poi, nominato prefetto e inviato a Palermo per combattere la mafia, fu ucciso da Cosa nostra, che evidentemente lo temeva e lo vedeva come un pericolo per il suo potere, nel 1982, insieme alla seconda moglie, Emanuela Setti Carraro, la prima puntata della miniserie "Il nostro generale", in onda il 9 gennaio su Rai1.
    La figlia di Dalla Chiesa vive da oltre 40 anni a Catanzaro, città in cui si trasferì insieme al marito, lo psichiatra Carlo Curti, dopo le minacce subite dalla sua famiglia proprio ai tempi dell'ondata terroristica che attraversò il Paese negli anni '70. In Calabria Simona Dalla Chiesa ha lavorato come giornalista ed ha svolto un'intensa attività politica prima come consigliere regionale del Pci e poi come deputata, eletta per due legislature con la lista del Pds. "L'emozione che ha suscitato in me la visione de 'Il nostro generale' - dice all'ANSA Simona Dalla Chiesa - è stata di carattere privato, perché dal punto di vista familiare è stato come essere proiettata nel mio passato, e poi anche pubblica perché è stato significativo rivivere quegli anni terribili, le paure, i rischi e gli scontri generazionali che hanno caratterizzato quell'epoca e che hanno visto mio padre ed i suoi uomini in prima linea contro il terrorismo, mettendo a repentaglio la loro vita per salvare le democrazia". Simona Dalla Chiesa sottolinea l'importanza della serie dedicata al padre anche "per il messaggio che lancia ai giovani.
    È bene che le generazioni che non hanno vissuto quegli anni - dice - possano conoscere un pezzo di storia che purtroppo non trovano nei testi scolastici. Un periodo che può aiutarli a capire che la democrazia non è un regalo che ci viene dalla Resistenza, ma va difesa ed alimentata giorno dopo giorno, nel rispetto reciproco e nella tutela dei più deboli". (ANSA).
   

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