(ANSAmed) - NAPOLI, 16 OTT - "Il calcio è un fattore di
integrazione, ma non si deve commettere l'errore di pesare che
lo sport porti automaticamente risultati positivi, serve
governarlo". Così Luca Bifulco, professore di sociologia
all'Università Federico II di Napoli, spiega la ricerca portata
avanti insieme ad Adele Del Guercio, docente di diritto
dell'Unione Europea e Tutela internazionale dei migranti
all'Università Orientale di Napoli, e presentata durante il
seminario ""Il calcio come strumento di inclusione sociale dei
migranti" a Napoli.
"Dal punto di vista sociologico - spiega Bifulco - il calcio
è un fattore di integrazione efficace, come emerso dallo studio
di un esempio a noi vicino, l'Afro Napoli United, squadra che
gioca il campionato dilettantistico ed è composta da soli
migranti. Ma la ricerca ci ha portato a capire come funziona la
promozione del multiculturalismo anche come elemento pratico
nella vita dei calciatori nel contesto sociopolitico ed
economico più ampio. In questo senso la mitopoiesis dello sport
è che sia sempre positivo, invece è un fenomeno sociale come
altri, che può essere piacevole o negativo. Funziona sicuramente
su alcuni aspetti come le questioni sanitarie, visto che questi
ragazzi vengono seguiti dai medici nella loro attività sportiva,
ma dal punto di vista delle questioni occupazionali ha un
effetto limitato ad esempio". Il calcio, insomma, non aiuta gli
immigrati a creare una rete relazionale tale da aiutarli
nell'integrazione anche fuori dal campo: "Sulle questioni della
formazione - spiega Bifulco - o ad esempio sugli aspetti
occupazionali e di abitazione ha un effetto irrilevante. Al
massimo si possono trovare fonti di reddito occasionale".
La "rete" di conoscenze che può portare a sviluppi lavorativi
o di miglioramento della condizione di vita, è piuttosto
limitata. "In sociologia - illustra Bifulco - ci sono diversi
tipi di capitale sociale, come viene definita la rete di
relazioni: il calcio ha rafforzato la rete all'interno del
gruppo stesso degli immigrati, ma ha avuto effetti sensibili
solo nel creare ponti con persone già sensibili
all'integrazione". Insomma, lo sport non basta: "Bisogna
investirci - prosegue Bifulco - ma senza adagiarsi. Se investi
sullo sport e poi pensi che la cosa porti risultati a
prescindere non basta. Bisogna investire anche su aspetti
infrastrutturali, bisogna tenere conto che il migrante deve
badare alla propria assistenza e non ha tanto tempo per attività
ricreative. Questo vale per tutti i casi di inclusione sociale
delle persone disagiate: si deve creare un contesto adeguato". E
a volte lo sport può anche diventare sinonimo di esclusione
sociale: "Sarebbe interessante - conclude il docente -
organizzare tornei anche degli sport dei Paesi di origine dei
migranti, coinvolgendo anche gli italiani, però. Una volta ho
studiato una situazione in cui si organizzavano tornei di tennis
da tavolo per immigrati cinesi, ma giocavano solo tra loro, e lo
sport diventava un elemento di esclusione".
Ma l'esclusione arriva spesso anche dalle regole dello sport
italiano. "Una delle difficoltà maggiori - spiega Del Guercio -
è relativa alle regole del tesseramento. Le regole della
Federcalcio richiedono che qualsiasi cittadino non europeo deve
presentare un certificato di residenza e il permesso di
soggiorno in corso di validità per iscriversi a un campionato.
Chiunque non abbia il permesso di soggiorno o sia un richiedente
asilo in attesa di risposta resta escluso dalle competizioni
sportive. E' un'incongruenza, visto che nei trattati
internazionali si parla di diritto allo sport che non incide
sulla sicurezza dello stato ed è visto come strumento di
integrazione". La situazione è ancora più difficile per i minori
stranieri: "a loro viene richiesto anche il permesso di
soggiorno dei genitori, quindi anche chi è nato qui è escluso
dalle competizione. Una norma estremamente discriminatoria e di
esclusione sociale. Così lo sport è uno dei luoghi in cui è più
palese la discriminazione che vivono i migranti nella società
italiana". Lo "ius soli" dello sport è stato però lanciato in
alcune discipline: "C'è nel pugilato e nell'hockey, due
federazioni - spiega Del Guercio - che hanno modificato i
regolamenti interni per poter tesserare minori stranieri nati in
Italia anche se i genitori non hanno il permesso di soggiorno.
Sarebbe auspicabile che si allargasse anche ad altre
federazioni".(ANSAmed).
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Sport per migranti? Funziona, ma non garantisce integrazione
Ricerca università Napoli mostra luci, ombre sport per immigrati