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Calcio: Spagna non più paradiso fiscale per giocatori stranieri

Modificata 'legge Beckham': dal 2015 aliquota sale al 47%

Il campione di calcio portoghese Cristiano Ronaldo, stella del Real Madrid

Redazione Ansa

(di Paola Del Vecchio) (ANSAmed) - MADRID - Addio al paradiso fiscale, la Spagna manda in soffitta la cosiddetta legge Beckham che consentiva una tassazione estremamente favorevole, con un'aliquota del 24%, a stelle del calcio e sportivi professionisti non residenti.

La riforma fiscale annunciata dal ministro delle finanze, Cristobal Montoro, esclude espressamente dai privilegi fiscali offerti dalla legge Beckham gli sportivi professionisti ed equipara la contribuzione dei non residenti e a quella dei residenti.

Il vecchio regime fiscale, fissato dall'articolo 93 della legge 35/2006, consentiva ai lavoratori stranieri di pagare un'aliquota inferiore a quella dei nazionali, con l'obiettivo di permettere alle imprese spagnole di contrattare personale qualificato, cervelli, dirigenti e talenti da altri Paesi, risparmiando una parte importante del compenso, rimessa così a carico dello Stato. Nella pratica, dalla normativa varata dall'allora governo di José Maria Aznar erano beneficiati principalmente i club di calcio, per gli ingaggi milionari dei talenti stellari, a cominciare dal Real Madrid di Florentino Perez per l'acquisto nel 2003 del 'galactico' David Beckham - dal quale è poi derivato l'appellativo della legge - passando per Kakà, Ibrahimovic o lo stesso Cristiano Ronaldo.

Un affare 'redondo', grazie al regime estremamente favorevole se paragonato all'aliquota del 50% della Premier League, del 43% dell'Italia o del 45% della Germania. Una prima stretta era arrivata già nel 2010 con il governo Zapatero, con una modifica del regime fiscale, che introdusse per i lavoratori stranieri residenti in Spagna, con una retribuzione superiore ai 600.000 euro annui (815.000 dollari), una tassazione del 43% rispetto al 24% fino allora previsto.

Adesso, con l'ulteriore riforma, la possibilità di pagare l'aliquota del 24%, prevista per lavoratori stranieri con retribuzioni non superiori ai 600.000 euro annui, esclude esplicitamente "il rapporto lavorativo speciale degli sportivi professionali" e dei calciatori d'élite. L'altra novità della normativa è che i non residenti con retribuzioni superiori ai 600.000 euro l'anno dovranno pagare la stessa aliquota del 47% prevista per qualunque altro contribuente o spagnolo con entrate superiori ai 60.000 euro annui per reddito di lavoro.

In altre parole, i calciatori stranieri che saranno contrattati dal 1 gennaio 2015 dovranno destinare il 47% delle proprie entrare all'Irpef. E, ovviamente, la riforma colpisce non solo i giocatori ma anche i club, che con la cancellazione del regime speciale non potranno più proporre ingaggi galattici e avranno più difficoltà ad accaparrarsi i migliori calciatori sulla piazza internazionale. Tuttavia, la riforma non tocca i contratti già stipulati all'entrata in vigore della normativa. Dopo la crisi e il salvataggio bancario, con il piano di controllo finanziario fissato dal Consejo Superior de los Deportes, l'indebitamento complessivo dei club di calcio spagnoli nel 2013 si è ridotto a 3,573 miliardi di euro, oltre 200 in meno rispetto all'anno precedente.

Anche se restano le perplessità sollevate nell'aprile scorso dall'Antitrust europea sulla fiscalità di vantaggio del Real Madrid e del Barcellona, che pagano allo Stato il 25% rispetto alla soglia impositiva del 35% come società sportive senza scopo di lucro, uno status che consente loro numerose esenzioni che altrimenti graverebbero sulle imposte societarie. (ANSAmed).

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