(ANSAmed) - ROMA, 20 GEN - La crisi del campo profughi di
Lipa? Una tragedia annunciata. Questo il parere condiviso in una
tavola rotonda online dell'istituto per gli studi di Politica
Internazionale (Ispi) moderata da Matteo Villa. All'appuntamento
sono intervenute Annalisa Camilli (giornalista di Internazionale
e autrice del saggio "La legge nel mare") Silvia Maraone
(attivista sul luogo per conto di Ipsia-Caritas) e Chiara Milan
(Research Fellow presso l'università Normale di Pisa).
«Non era inaspettato che arrivasse l'inverno lungo la rotta
balcanica, e non era inaspettato nemmeno quello che si produce
da almeno 3 anni in quest'area, cioè che la rotta balcanica si
spostasse in Bosnia — spiega la Camilli — dopo la costruzione
del muro voluto da Orban in Ungheria e gli accordi tra Unione
Europea e Turchia il transito è diventato più difficile ma
quella rotta non si è chiusa del tutto».
In Bosnia, ricorda Silvia Maraone, erano attivi 7 campi
profughi, ora ve ne sono 5. A complicare la situazione l'estrema
frammentazione amministrativa della Bosnia-Erzegovina: un
territorio diviso tra diversi cantoni i cui tassi di povertà ed
emigrazione sono particolarmente elevati, e la cui divisione
territoriale è fondata su differenze etniche. La corruzione - ha
ricordato - è endemica e il rimpallo di responsabilità tra il
governo di Sarajevo e i governi locali degli organi confederati
non aiutano.
La situazione di Lipa, un campo per soli uomini, è
particolarmente grave. Maraone ha descritto la situazione
tragica in cui vivono i migranti (in maggioranza afghani e
pakistani) dell'ex campo, ora in una struttura subito adiacente
a quella distrutta dall'incendio del 23 dicembre e ribattezzata
Lipa 2.0: «Le autorità di Bihać non vogliono più che i centri
siano più all'interno della città. Questo campo da subito era
stato definito non in linea con le norme internazionali di
accoglienza. Manca acqua corrente, i gabinetti chimici sono
letteralmente, mancano vestiti per gli ospiti, vi sono ospitate
più di mille persone». Molti ospiti riportano sintomi febbrili e
chiedono di parlare con un medico ma non c'è nessuna assistenza
sanitaria.
«Inoltre, visto che i migranti non possono lavarsi né lavare
i vestiti e la biancheria per colpa del freddo, si sta
diffondendo la scabbia». Negli ultimi giorni, con l'istituzione
della nuova struttura con un blando sistema di riscaldamento
nelle tende, la situazione sembra leggermente migliorata, ma
permangono i problemi strutturali denunciati ben prima
dell'incendio.
«Sono tre anni che la Bosnia non si dota di centri di
accoglienza. La situazione simile a quella raccontata nel 2017
per Belgrado, ma la Serbia in questi anni si è dotata di centri
di accoglienza, la Bosnia no». Lo stato delle cose, denuncia
Chiara Milan, è reso impossibile dall'eccessiva
burocratizzazione delle procedure di richiesta d'asilo per i
profughi: «Si stima che nel 2019 ci siano state 784 richieste
d'asilo, ma di queste solo 3 sono state accettate. E per 400
delle totali non si è potuto procedere perché i richiedenti
avevano lasciato la Bosnia a causa dell'eccessiva lungaggine
delle pratiche, ben oltre i 313 giorni».
A preoccupare anche la questione dei respingimenti, alcuni
avvenuti addirittura al confine italiano di Trieste e che,
rimarca Milan, «sono violazioni degli accordi internazionali e
delle direttive europee in tema di migrazione». Un forte
sostegno sta arrivando dal basso, visto che diverse associazioni
e comitati italiani si sono mobilitati per fornire risorse ai
profughi intrappolati in Bosnia, ma gli ospiti del campo restano
in quella che Milan in un suo articolo aveva definito «la
quarantena permanente dei profughi».
Il video integrale del meeting è disponibile sul sito di Ispi al
link
https://www.ispionline.it/it/eventi/evento/bosnia-emergenza-migr
anti-ai-confini-dellue (ANSAmed).
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Migranti: in Bosnia 'una tragedia annunciata'
Una tavola rotonda Ispi riflette sul dopo-incendio a Lipa