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Paesi dell'Est, stop a ricatti Ue sui migranti

Ungheria va avanti, detenzione preventiva per i profughi

Il cancelliere austriaco Christian Kern

Redazione Ansa

(di Patrizia Antonini)

BRUXELLES - No al "ricatto" dell'Ue che lega la politica migratoria a quella finanziaria riducendo gli aiuti a chi non accoglie i profughi. I falchi del blocco Visegrad - Polonia, Ungheria, Repubblica ceca e Slovacchia - che rifiutano di fare le 'relocation', da Varsavia, dove si sono riuniti per un mini-vertice su migranti e Brexit, respingono con forza l'ipotesi che si sta facendo strada tra i 27 per il prossimo budget dal 2021: condizionare l'erogazione dei fondi strutturali al rispetto delle decisioni sui migranti. In particolare l'Ungheria, che con la Polonia costituisce l'ala più dura del blocco dell'Est, dopo aver costruito le sue barriere di filo spinato, ora va avanti con la detenzione preventiva di tutti i migranti che mettono piede sul suo territorio, tra le proteste delle organizzazioni umanitarie, come Human Rights Watch, che si appellano a Bruxelles affinché costringa Budapest ad "un cambio di rotta", facendosi garante del "rispetto dei diritti dei richiedenti asilo".

Ma gli occhi sono puntati su Bruxelles, anche per capire quale esito sortirà la lettera annunciata dal cancelliere austriaco Christian Kern, alle prese con un duro scontro tra popolari (Ovp) e socialdemocratici (Spo) - entrambe forze di governo - in cui si chiede "comprensione" per la richiesta di esenzione dallo schema dei trasferimenti dei profughi da Italia e Grecia. Per il momento la portavoce della Commissione Ue per la Migrazione Natasha Bertaud mette in guardia: "Nessun Paese può ritirarsi unilateralmente" dal piano, che è "legalmente vincolante. Chi lo facesse sarebbe fuori dalla legge e questo sarebbe profondamente deplorevole e non senza conseguenze". In altre parole, se Vienna dovesse seguire la strada indicata dal ministro socialdemocratico della Difesa Hanz Doskozil incorrerebbe nel rischio di una procedura di infrazione. Intanto, dopo Italia, Germania e Francia, anche la Svezia ritiene che col nuovo budget pluriennale dal 2021, "i pagamenti" dei fondi Ue agli Stati dovranno essere soggetti alla condizione che le decisioni congiunte nell'area delle migrazioni siano soddisfatte". "Ci deve essere un prezzo per chi non si assume le responsabilità", avvertono il premier Stefan Lofven e il ministro delle Finanze Magdalena Andersson. Lo stesso vicepresidente della Commissione Ue con delega alla Crescita, il finlandese Jyrki Katainen, intervenendo a un evento sulla politica di coesione, non ha chiuso all'ipotesi: "la solidarietà non significa sempre chiedere qualcosa agli altri, ma anche che si è pronti a contribuire per il bene comune". Ma Budapest sembra decisa, con convinzione, a correre sul proprio binario, tanto che Viktor Orban ha fatto sapere che se l'accordo con la Turchia sui migranti dovesse fallire, il suo Paese sarà in grado di "fermare i migranti, grazie al muro e alle nuove leggi sull'asilo".

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