(di Alberto Zanconato)
(ANSAmed) - BEIRUT, 24 NOV - Per sconfiggere l'Isis "i raid
aerei non bastano". Occorre un accordo globale delle potenze
mondiali e regionali che apra la strada a un nuovo assetto
geopolitico con governi che assicurino "una condivisione del
potere specialmente in Siria e Iraq" per mettere fine alle
contrapposizioni confessionali. Ad affermarlo è Bassel Saloukh,
professore associato alla Lebanese american university (Lau) di
Beirut.
"Se non si arriverà a questo, lo Stato islamico rischia di
diventare una presenza permanente nella regione, come i Taleban
in Afghanistan", aggiunge Saloukh in un'intervista all'ANSA. E
se un'azione congiunta a livello internazionale sembrava molto
difficile fino ad ora, gli attentati di Parigi potrebbero
spingere le grandi potenze verso una maggiore collaborazione.
"Per anni - sottolinea l'analista - si è pensato che le
conseguenze della guerra in Siria si sarebbero limitate ai Paesi
confinanti della regione. Ma ora si è visto che possono arrivare
fino a Parigi, e oltre. E bisogna fare qualcosa".
Le ragioni che hanno portato alla nascita del 'Califfato' di
Abu Bakr al Baghdadi e alla sua conquista fulminea di vasti
territori in Iraq e Siria non sono solo di carattere religioso,
e non sono di oggi. Fin dall'invasione anglo-americana del 2003
in Iraq, che portò all'abbattimento di Saddam Hussein, vasti
strati della popolazione sunnita si sono sentiti discriminati
dalle politiche dei nuovi governi a guida sciita, vicini
all'Iran. Anche questo ha favorito la diffusione di Al Qaida nel
Paese, dalla quale è nato l'Isis. Un'organizzazione che è
riuscita ad ottenere con la sua propaganda fondamentalista
sunnita il sostegno di almeno una parte degli appartenenti a
questa confessione e di diversi clan tribali sunniti. E
nell'Isis sono entrati anche, con importanti incarichi di
comando militari, ex dirigenti dello stesso regime di Saddam
Hussein. "In Iraq stanno vincendo gli uomini di mio padre",
disse nell'estate del 2014 una raggiante Raghad Hussein, figlia
dell'ex dittatore, dopo la presa di Mosul e Tikrit da parte dei
jihadisti.
In Siria, sottolinea il prof. Saloukh, il conflitto non è
nato per motivi confessionali, ma è stato in seguito
'confessionalizzato', con la contrapposizione tra maggioranza
sunnita e minoranza sciita, alla quale appartengono gli alawiti
del presidente Bashara al Assad. E se si riuscisse a eliminare
questo fattore l'Isis non potrebbe più contare sui territori e
sui consensi che ha oggi.
"Per sconfiggere il confessionalismo - prosegue il docente
della Lau - ci vuole una decisione politica di tutti per mettere
fine alla guerra geopolitica che combattono in Siria. Questo
potrebbe portare ad un intervento militare anche sul terreno, a
una guerra ideologica per demistificare la propaganda dell'Isis
e al prosciugamento dei finanziamenti per i jihadisti". Ma tutto
questo dovrebbe andare di pari passo con la formazione di
"sistemi politici inclusivi" che mettano fine alle
discriminazioni. Non solo in Siria e Iraq, ma anche in Yemen e
in altri Paesi della regione. "Per la Siria, per esempio, vedo
una soluzione per la condivisione dei poteri come in Libano nel
dopo guerra civile, almeno nel breve periodo".
In questa soluzione dovrebbero rientrare, secondo Saloukh,
anche i Curdi, oggi in prima linea nella guerra al 'Califfato'.
"Non sarebbe necessaria la creazione di uno Stato, ma, anche in
Siria, la costituzione di una regione con forti poteri autonomi
come nel Kurdistan iracheno".
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Isis: bombe non bastano, servono nuovi assetti politici'
Analista libanese,senza accordo globale resteranno come Talebani