(di Massimo Lomonaco)
(ANSA) - TEL AVIV, 6 LUG - Preceduta da un pesante lancio di
razzi di Hamas dalla Striscia e dagli attacchi aerei di risposta
da parte dell'aviazione, Israele l'8 luglio del 2014 avviava
l'operazione 'Margine Protettivo'. L'obiettivo era di mettere
fine allo stillicidio di missili sul Paese e al pericolo
costituito dai tunnel scavati da Gaza fino ai kibbutz in
territorio dello stato ebraico con lo scopo di colpire i civili.
Uno scontro durissimo - con l'ingresso il 17 luglio dell'
esercito israeliano nella Striscia - finito il 26 agosto, dopo
50 giorni di guerra. Secondo i dati del rapporto del Consiglio
dei diritti dell'uomo dell'Onu, a Gaza nei raid israeliani
(oltre 6.000) sono stati uccisi 2.251 palestinesi di cui 1.462
civili (tra questi: 299 donne, 551 bambini) e 789 combattenti.
Per Israele invece le vittime a Gaza sono state 2.125, di cui
936 militanti, 761 civili e 428 ancora da accertare (tutti
maschi tra i 16 e 50 anni). In Israele, protetto dal sistema
Iron Dome che ha fronteggiato oltre 6.000 tra razzi e colpi di
mortaio lanciati dalla Striscia, le vittime sono state 72 (67
soldati e 5 civili).
Una realtà nella quale la risoluzione del Consiglio -
fortemente contrastata da Israele - ravvisa "possibili crimini
di guerra" da entrambi le parti. Il rapporto ha denunciato su
Gaza raid "indiscriminati" con "devastazione e sofferenza umana
senza precedenti, che avranno un impatto sulle generazioni
future". Per Israele parla di lancio "indiscriminato" di razzi
con lo scopo "di diffondere il terrore" tra i civili,
traumatizzati anche "dalla scoperta dei tunnel". Per questo il
Consiglio ha anche evocato il ricorso alla Corte Penale
Internazionale (Cpi) dell'Aja.
Oggi, a un anno di distanza, la situazione nella Striscia
resta grave dal punto di vista umanitario, mentre nell'ultimo
mese su Israele sono di nuovo caduti razzi, questa volta
rivendicati da gruppi salafiti che si richiamano all'Isis.
Da settimane si parla anche di trattative indirette per una
tregua decennale tra Hamas e Israele, favorite da Qatar, Turchia
e organizzazioni internazionali. Ma le parti finora hanno più
volte negato la loro esistenza.
Punto focale del negoziato sarebbe la costruzione di un porto
galleggiante a largo della costa di Gaza, in grado di ridare
ossigeno economico alla Striscia, rimuovendo così il blocco
pluriennale da parte di Israele e dell'Egitto. Nell'anno appena
trascorso, nonostante l'impegno finanziario (oltre 1,5 miliardi
di dollari) varato dai Paesi donatori nella Conferenza del Cairo
dello scorso ottobre, la ricostruzione nella Striscia, a
giudizio delle organizzazioni dell'Onu, stenta a decollare e
pochi sono i prodotti edilizi che entrano passando il controllo
di Israele. La situazione - secondo dati di fonti locali - vede
ancora circa 8.000 senza tetto, mentre altri 50 mila vivono in
abitazioni di fortuna (prefabbricate, o altro). Se le case
lesionate dai bombardamenti sono state sostanzialmente riparate,
per quelle distrutte la ricostruzione deve ancora cominciare.
Dal punto di vista politico, a un anno di distanza, il
governo di unità nazionale palestinese - nominato dal presidente
Abu Mazen nel giugno del 2014 con premier Rami Hamdallah - è in
grande difficoltà: a Gaza il potere resta nella mani della
fazione islamica. Tuttavia il controllo di Hamas sulla Striscia,
rispetto a un anno fa, sembra essersi indebolito: la sfida dei
salafiti - hanno riportato fonti locali -, specie in frangenti
economici al limite del collasso, con disoccupazione al 60%, si
fa più forte. Non è un caso in questa ottica che uno dei più
alti esponenti di Hamas, Musa Abu Marzuk, abbia deciso di
rientrare dall'estero a Gaza. Hamas è intervenuta con decisione
nei confronti dei gruppi salafiti, autori degli ultimi lanci
verso Israele. A fronte di questa battaglia interna alla
Striscia - col richiamo dei gruppi jihadisti nel vicino Sinai e
il contrasto tra Hamas e l'Egitto del presidente anti-Fratelli
Musulmani Abdel Fattah al-Sisi - alcuni analisti in Israele
ritengono che prima o poi il conflitto "torni a bussare alle
porte dello stato ebraico".
Lo stesso ministro della difesa Moshè Yaalon, in una
cerimonia in onore dei soldati caduti, ha detto oggi: "In futuro
potremmo essere forzati a colpire di nuovo le organizzazione del
terrore a Gaza". E anche il premier, Benyamin Netanyahu, ha
ammonito che "se Hamas, Hezbollah, Iran o Isis tenteranno di
colpirci, rischieranno la loro vita". (ANSA).
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ANSA/ Un anno fa scoppiava la guerra a Gaza fra Hamas e Israele
Striscia ancora ferma. Voci negoziati e paure nuovo conflitto