(ANSAmed) - ROMA, 24 MAR - "Sono arrivato in Italia nel
2020, ma purtroppo ci ho messo molto tempo a conoscere questo
paese, perché non avevo trovato nessuno che mi aiutasse a capire
veramente questa cultura, che mi aprisse la porta di questa
comunità." Abdulrahman Shabanah, ingegnere palestinese di 29
anni, racconta così l'inizio del suo percorso di integrazione in
Italia, fino a quando non ha conosciuto il programma Community
Matching e il buddy volontario Sergio che gli avrebbe dato il
giusto sostegno. "Sergio è stato fondamentale per me quando ho
affittato la mia prima casa, lui mi ha aiutato a capire come
funzionavano alcune cose," ha detto Abdulrahman alla
presentazione a Roma dei primi risultati del progetto di UNHCR,
Agenzia ONU per i Rifugiati, insieme a Ciac e Refugees Welcome
Italia e con il sostegno dell'Istituto buddhista italiano Soka
Gakkai, che ora coinvolge 10 città italiane.
"Non ha fatto le cose al posto mio, assolutamente: mi ha
insegnato come farle. Abbiamo visto il contratto insieme e mi ha
spiegato," ha continuato. "Sergio rimane sempre il mio padre e
il mio fratello. Questa esperienza mi ha ispirato. Mi sto
impegnando per essere utile anch'io ad altre persone rifugiate,"
ha concluso Abdulrahman.
Community Matching prevede l'abbinamento (match) tra persone
rifugiate e volontarie e volontari che possano affiancarle nel
loro percorso di integrazione in Italia, attraverso la creazione
di relazioni sociali di sostegno su una base di parità. Ed i
risultati sono molto incoraggianti: da uno studio di 115 match
avviati nel primo semestre del 2022, è emerso come il 36% dei
rifugiati coinvolti nel progetto ha mostrato un miglioramento
della propria condizione generale e l'86% ha migliorato la sua
capacità di orientarsi sul territorio e di accedere ai servizi.
Il 62% ha ottenuto un contratto di lavoro (contro il 37%
all'inizio del programma) e il 35% ha stipulato un contratto di
locazione (contro il 18%). Inoltre, il 50% dei rifugiati ha
migliorato il livello di italiano.
"Il mio buddy mi ha cambiato la vita" è la frase ricorrente
nei racconti dei rifugiati raccolti alla presentazione del
programma a Roma. Come Abdulrahman, che in pochi mesi ha
rivoluzionato la sua vita, Joelle Ntumba Nkongolo, 30 anni,
rifugiata della Repubblica Democratica del Congo, racconta di
aver "trovato amici, nuove possibilità di esprimermi e di
sentirmi libera in una comunità che mi aiuta quando ne ho
bisogno." Joelle, che aveva cominciato gli studi in giornalismo
nella RDC prima di arrivare in Italia tre anni fa, quando è
entrata in Community Matching era in accoglienza e disoccupata.
"La mia buddy si chiama Chiara, lei è paziente con me e ha cura
di me; per questo la considero una sorella," dice. "Quando
dovevo lasciare il mio centro di accoglienza mi sentivo persa; è
stata lei che mi ha dato coraggio e che, insieme al gruppo, mi
ha trovato una sistemazione", racconta. "Ora lavoro in un
McDonald's e ho trovato un affitto grazie al programma".
"Sono in Community Matching da soli due mesi, ma la mia vita
è già cambiata". Anche per Alina Vasieikina, rifugiata ucraina
in Italia da un anno, il programma dell'Unhcr ha rappresentato
una svolta. Alina spiega come la relazione con il suo buddy
italiano Daniele, videomaker e regista, le ha dato "speranza e
motivazione per integrarmi, per vivere e per creare". "Abbiamo
già cominciato a lavorare su progetti creativi insieme. Ho fatto
l'assistente in uno dei suoi film, e adesso stiamo sviluppando
altri progetti futuri. Lui mi ha fatto conoscere tantissime
persone creative del suo mondo, e io spero che in futuro anche
questo mi apra nuove opportunità lavorative," dice.
Anche per i buddy volontari è stata una esperienza positiva,
come testimonia Daniela Pizzuto di Torino: "Il Community
Matching mi ha cambiato la vita, l'ha arricchita a livello
relazionale". Daniela ha deciso di aderire al progetto dopo
averlo conosciuto ad un evento pubblico, ed è stata abbinata a
Federico, un rifugiato cinese di 30 anni. "Praticamente da
subito siamo entrati in sintonia, ed è nata una bellissima
amicizia, nonostante la differenza di età," dice. "Federico sa
benissimo che può contare su di me per qualsiasi cosa, che sia
andare al museo o al cinema oppure avere un aiuto con le
pratiche, la casa, la patente, che ha conseguito brillantemente
a dicembre". Il buddy rifugiato di Daniela sa anche che può
avere "un appoggio relazionale e familiare: è entrato a far
parte della mia vita e della mia famiglia, per esempio ha
preparato i ravioli cinesi per le mie sorelle ed i nipoti, e
abbiamo fatto il pranzo di Natale insieme." Ma l'impatto
positivo del match non è stato solo a livello personale e
familiare: "Anche le persone intorno a me sono molto più
sensibili a certi temi, e soprattutto possono dare un volto e un
nome al termine 'rifugiato'," conclude Daniela.
Lanciato nel 2021 a Bari, Roma e Torino, ora il programma di
Community Matching è operativo in 10 città italiane. Al 31
dicembre 2022 sono stati avviati 358 match, coinvolgendo persone
rifugiate di 41 nazionalità, di cui il 34% è ucraino. Il 55% dei
buddy rifugiati sono donne e il 60% ha una forma di protezione
internazionale, mentre il 33% ha la protezione temporanea. Il
67% dei rifugiati partecipanti al programma si trova fuori
dall'accoglienza istituzionale. Le persone volontarie sono per
la maggior parte italiane (il 93%), anche se sono presenti anche
volontari ucraini (2%) e maliani e russi (2%). Si tratta per lo
più di persone di sesso femminile e di età superiore ai 40
anni.(ANSAmed).
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Community Matching, un programma d'integrazione di successo
Rifugiati, progetto Unhcr ci 'ha cambiato la vita'