(ANSAmed) - TUNISI, 04 APR - La chéchia (shāshiyya), il
tradizionale copricapo tunisino, incarna secoli di storia e
cultura. Realizzata con maestria artigianale, è divenuta nel
tempo un'icona tangibile dell'identità tunisina, simbolo della
ricchezza della tradizione locale.
La storia della chéchia si perde nella notte dei tempi.
Secondo alcuni sarebbe stata importata dalla Spagna dagli arabi
andalusi, ma la tradizione attribuisce l'origine della sua
fabbricazione a Kairouan, nel secondo secolo dell'Egira (VIII
sec. Dc), sicuramente veniva abitualmente indossata dai
funzionari dell'Impero Ottomano. La chéchia, o shashia
tradizionale, è fatta di lana pettinata, lavorata a maglia dalle
donne che fabbricano le calotte (kabbous). Questi berretti
vengono poi inviati alla follatura: intrisi di acqua calda e di
sapone e gli uomini li pigiano coi piedi per infeltrirli, a tal
punto che le maglie del tessuto finiscono quasi per sparire.
Viene quindi il trattamento della pettinatura con cardi, per
trasformare il feltro in un velluto lanuginoso, anche se sempre
più spesso il cardo viene sostituito da una spazzola metallica.
È in questa fase della lavorazione che la shashia viene tinta
del suo caratteristico rosso vermiglione. La sua forma rotonda e
in molte varianti, il caratteristico pompon (kobita) sulla
sommità la rendono immediatamente riconoscibile. La shashia non
va confusa con il fez (detto anche chéchia stambouli), essa è
morbida mentre il fez è rigido, con tronco-conico, di forma
alta. Ancora oggi, la sua produzione è concentrata
principalmente a Kairouan, città rinomata per le sue abilità
artigianali, ma sono diverse le regioni tunisine interessate nel
processo che porta alla creazione di questo copricapo. Per la
filatura della lana, Djerba e Gafsa, per il lavoro a maglia,
l'Ariana per la schiacciatura e il lavaggio, El Batan (nelle
acque del Medjerda), per la cardatura, El Alia (origine del
cardo), per il colorante: Zaghouan, per la messa a punto e forma
e le finiture, Tunisi. Nel suo periodo di massimo successo gli
artigiani della shashia giunsero ad occupare tre interi suq
della Medina di Tunisi. Come il sefsari, il tradizionale velo
femminile che ricopre l'intero corpo della donna, solitamente
color crema in cotone, raso o seta, la chéchia gradualmente
scomparve dal panorama tunisino.
Nel 1981 si contavano 120 produttori nel "souk des
chaouchias", oggi ne sono rimasti una quarantina. Ma la chéchia
non è solo un semplice copricapo, è un simbolo di orgoglio
nazionale e identità culturale. A partire dagli anni Venti, per
esempio, gli indipendentisti tunisini iniziarono a portare la
shashia testouriyya (originaria di Testour) perché il suo nome
ricordava quello del loro partito (Destour). Indossarla dunque
rappresenta un legame con le radici storiche e culturali del
paese, oltre a incarnare un senso di appartenenza alla comunità
tunisina. E dopo la rivoluzione tunisina del 2011, la chéchia ha
vissuto un vero e proprio revival. In questi ultimi anni,
diventata un simbolo di orgoglio nazionale e resistenza, ha
conosciuto un nuovo aumento della sua popolarità sia a livello
nazionale che internazionale, venendo esportata in Algeria,
Marocco e in Sudan, ma anche in Medio Oriente. Oltre ad essere
indossata durante le celebrazioni e le occasioni formali, è
diventata sempre più popolare anche tra i giovani come
accessorio di moda, contribuendo a riaffermare la sua importanza
nella cultura contemporanea tunisina. Essa rappresenta non solo
un capo di abbigliamento tradizionale, ma un tesoro culturale
che incarna l'identità e la storia del popolo tunisino. La sua
produzione artigianale e il suo valore simbolico continuano a
mantenere viva la ricca tradizione della Tunisia, rendendola una
testimonianza tangibile della sua storia e della sua resilienza.
(ANSAmed).
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La chéchia tunisina simbolo di identità e tradizione
Copricapo nazionale sta vivendo una sorta di revival