(di Silvia Lambertucci)
(ANSAmed) - ROMA, 28 DIC - Forgiato nel bronzo a Perugia,
poco prima della metà del IV secolo a.C. per un soldato locale,
forse un mercenario. Per poi arrivare chissà come a Vulci, dove
qualche anno più tardi divenne il vanto di un secondo guerriero,
così orgoglioso di quel suo copricapo militare da portarselo
nella tomba insieme a tutto il suo ricco corredo. A novant'anni
dal ritrovamento, un'iscrizione appena interpretata apre uno
squarcio di grande suggestione su un frammento di vita di 2400
anni fa.
"Una storia rimasta nascosta sotto gli occhi di tutti" spiega
all'ANSA l'etruscologo Valentino Nizzo, direttore del Museo
Nazionale Etrusco di Villa Giulia. Perché il magico e anche il
paradosso di questa scoperta, racconta, è che sia avvenuta
proprio all'interno del museo, dove l'elmo in questione era
esposto in vetrina già dal 1935. Solo che nessuno aveva notato
quanto era stato inciso al suo interno, un particolare che
peraltro rende questo reperto estremamente importante e raro,
visto che in tutto il mondo - se si eccettua un deposito rituale
di 150 elmi rinvenuto a Vetulonia all'inizio del '900 con almeno
60 esemplari tutti contraddistinti dal medesimo nome gentilizio
- sono circa una decina le armi di questo tipo documentate in
ambito etrusco e italico tra il VI e il III secolo a.C.
Tutto è cominciato nel 2019, racconta Nizzo, con una
richiesta di studio per la digitalizzazione 3d di armi antiche
condotta da una équipe neozelandese. Il dipendente incaricato di
prelevare l'elmo nota qualcosa e allerta il direttore. Scattano
i controlli, si cerca negli archivi per vedere se
quell'iscrizione era stata studiata e interpretata, ma niente,
dopo qualche giorno appare chiaro che quelle sette lettere che
l'incisore aveva vergato a freddo da sinistra a destra
componendo la parola "harn ste" all'interno del paranuca non
erano mai state studiate.
Il motivo rimane un mistero anche perché gli scavi, avviati
nel 1928 da Ugo Ferraguti e Raniero Mengarelli, erano stati
condotti con estrema cura usando un metodo scientifico dopo anni
di saccheggi indiscriminati: "chissà, forse l'iscrizione non si
vedeva -ragiona Nizzo- quando l'elmo è stato recuperato dalla
tomba 55 nella necropoli dell'Osteria di Vulci il bronzo doveva
essere incrostato di terra e ossidato". Anche il restauratore
che all'epoca lo ha ripulito e integrato non sembra essersi
accorto di nulla. La morte dei due scopritori potrebbe aver
fatto il resto lasciando un enigma ancora tutto da decifrare.
E' così che non appena terminato lo studio per il quale era
stato spostato dalla sua vetrina, il copricapo è stato
sottoposto a una nuova pulizia condotta dalla restauratrice del
museo, Miriam Lamonaca, e il direttore si è messo al lavoro per
interpretarne il significato. L'ipotesi, oggetto di un articolo
scientifico per Sicilia Antiqua che Nizzo ha dedicato al maestro
Mario Torelli recentemente scomparso, è che si tratti di un
gentilizio derivato da un toponimo, ovvero un nome che indica la
città di provenienza della persona, e che il luogo in questione
fosse l'antica Aharnam ovvero l'attuale Civitella d'Arna, una
località a pochi chilometri da Perugia, citata anche da Tito
Livio come sede dell'accampamento del pretore Appio, poco prima
della battaglia di Sentino (295 a.C) durante la terza guerra
sannitica.
Tant'è, l'elmo del museo di Villa Giulia appartiene ad un'
epoca di poco precedente, le guerre sannitiche non erano ancora
cominciate, ma da nord a sud la conflittualità nella penisola
era altissima. Finito il momento dei piccoli eserciti armati da
singole famiglie si apriva l'epoca dei mercenari, soldati di
mestiere disposti anche a spostarsi 'per lavoro'. Da qui il nome
inciso sotto l'imbottitura dell'elmo, spiega il direttore, per
attestarne la proprietà e chissà forse anche come sbrigativo
biglietto da visita per presentarsi a qualcuno con il quale non
si condivideva appieno la lingua. Il proprietario potrebbe
quindi essere stato un soldato mercenario che da Civitella
d'Arna si era spostato a Vulci per necessità legate al suo
mestiere di guerriero integrandosi quindi nella nuova comunità.
Ma è anche possibile e forse addirittura più probabile, che i
proprietari di questo copricapo siano stati in realtà due.
E che l'elmo sia passato di mano, magari dopo la sconfitta in
battaglia del primo soldato, per entrare in possesso di un
secondo militare, un cittadino di Vulci che non aveva ritenuto
necessario cancellare l'intestazione interna o semplicemente non
l'aveva vista, perché coperta dall' imbottitura in tessuto. Un
pizzico di mistero insomma alla fine rimane. Nizzo accarezza
l'elmo e sorride: "Anche se non è possibile stabilire se Harnste
fosse il suo gentilizio o quello di un rivale ucciso in
battaglia, il pubblico che da oggi in poi verrà ad ammirarlo
avrà qualche elemento in più per immaginarne la storia".
(ANSAmed).
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Scoperta al museo etrusco, l'elmo dei due guerrieri
Del IV sec. a.C., iscrizione decifrata a 90 anni da ritrovamento