(di Paolo Petroni)
(ANSAmed) - ROMA, 17 LUG - Sono pochissimi gli scrittori veri
che, oltre a diventare popolari per i loro libri, riescono ad
essere amati anche come personaggi. Andrea Camilleri, morto oggi
a 93 anni, era uno di questi e ha usato questa sua forza
mediatica per raccontare di sé e del suo amato commissario
Montalbano, ma soprattutto per intervenire sul sociale, per
cercar di far arrivare ai suoi lettori, che sono tantissimi,
alcune idee base di democrazia e eguaglianza e dignità che
sapeva bene oggi purtroppo non sono più da dare per scontate.
La sua importanza come artista e intellettuale è stata
proprio in questo costante impegno nella scrittura legata alle
idee (si vedano un libro quale 'Come la penso' del 2013 o le sue
prese di posizione sul governo Berlusconi e oggi verso Salvini),
proposte con la sua aria bonaria ma anche con un preciso vigore,
con quel guizzo negli occhi che rende vero e vitale quel che si
sta dicendo, senza perdere forza nemmeno ora che gli occhi gli
si erano spenti. E i modi per dirlo, oltre a quelli diretti
delle interviste su temi caldi del momento, sono anche quelli
dei romanzi, in particolare quelli costruiti su influenza di
Sciascia partendo da un avvenimento storico del passato più o
meno recente, ma tutti alla fine incentrati sul nodo dei
rapporti tra potere e malavita organizzata.
Traccia di questo resta anche nelle avventure contemporanee
di Montalbano nella sua Vigata, nate nel 1994 con 'La forma
dell'acqua', ritratto di vita e malavita di provincia (quella di
Montelusa) in cui comunque emerge la figura del protagonista,
con la sua malinconica ironia, e la caratterizzazione dei
personaggi di contorno (il che ha fatto anche la eccezionale
fortuna della serie tv con Luca Zingaretti), simpatico e abile
commissario con una moralità tutta sua da cui non prescinde mai
e con un modo personale di svolgere le indagini, spesso
apparentemente attratto più dagli elementi di contorno e da
rivelatori indizi divagatori che dalla sostanza del crimine.
Figure e ambienti divertenti e ironici che rivelano echi,
personalmente reinventati, della letteratura gialla che va da
Simenon (di cui amava ancor più i romanzi senza Maigret) a
Vazquez Montalban passando per Scerbanenco, ma soprattutto sono
proposti in un'abile costruzione di ritmo narrativo incardinato
su un dialogo magistrale e sostenute da quella personalissima
lingua da lui creata, misto di italiano ed echi di siciliano, la
cui espressività tanto conquista i suoi lettori ma spesso ha
fatto storcere il naso a certa critica. "Non si tratta di
incastonare parole in dialetto all'interno di frasi italiane -
spiegava - quanto di seguire il flusso di un suono, componendo
una sorta di partitura che invece delle note adoperi il suono
delle parole. Per arrivare ad un impasto unico, dove non si
riconosce più il lavoro strutturale che c'è dietro. Il risultato
deve avere la consistenza della farina lievitata e pronta a
diventare pane". Per questo l'ultima lettura risolutiva, prima
di consegnare un testo, era sempre ad alta voce.
La teatralità, l'abilità nei dialoghi, la costruzione delle
trame sono rivelatori degli altri e non minori aspetti di questo
artista, nato a Porto Empedocle (Agrigento) nel 1925, ma vissuto
a Roma sin dal dopoguerra e dal 1949 regista (il primo a
rappresentare Beckett in Italia) e autore teatrale e di saggi
sullo spettacolo e scritti su Pirandello, oltre che per anni
titolare di una cattedra di regia all'Accademia Nazionale d'Arte
Drammatica. Un legame con la scena mai spezzato se anche negli
ultimi anni, ormai persa praticamente del tutto la vista,
costretto a dettare e farsi rileggere i propri libri, gli ultimi
Montalbano, si è esibito al teatro greco di Siracusa in un suo
monologo ispirato alla figura del veggente cieco Tiresia e si
preparava a recitarne uno nuovo a Caracalla su Caino.
Nelle vesti di funzionario Rai delegato alla produzione e
sceneggiatore lega poi il suo nome a famose produzioni
poliziesche della tv italiana, che avevano come protagonisti il
tenente Sheridan e il commissario Maigret. E se pubblica e
scrive poesie sin dai suoi vent'anni, arriva davvero alla
scrittura narrativa solo verso i 60 anni, con 'Il corso delle
cose', pubblicato nel 1978 gratis da un editore "a pagamento"
con l'impegno di citarlo nei titoli dello sceneggiato tv tratto
dal libro, 'La mano sugli occhi', che comunque non ne aiutò la
fortuna. Nel 1980 esce quindi da Garzanti 'Un filo di fumo', il
primo in cui compare la cittadina immaginaria di Vigàta ma è
solo nel 1992, con l'uscita da Sellerio, che sempre resterà il
suo editore principale, de 'La stagione della caccia', che
grazie al passaparola dei lettori diventerà un sorprendente
successo, confermato poi dal boom de 'Il birraio di Preston'.
Camilleri ama la scrittura, ha una storia teatrale legata
all'amore per l'alta avanguardia novecentesca e ha radici nella
sua Sicilia e nel passato classico, così i suoi romanzi
sorprendono spesso per scelte innovative, come accade nel 2008
con l'uscita de 'Il tailleur grigio' e, lo stesso anno, de 'Il
casellante', seconda parte di una trilogia di romanzi legati al
mito, di cui fanno parte 'Maruzza Musumeci' e 'Il sonaglio'.
Scrive costantemente, quotidianamente e nel 2016, a 91 anni,
nella nota finale del suo centesimo libro, 'L'altro capo del
filo', dichiara che si tratta di "un Montalbano scritto nella
sopravvenuta cecità" che ha dovuto dettare alla sua assistente
Valentina Alferj, "l'unica che sia ormai in grado di scrivere in
vigatese". E lo stesso vale per tutto ciò che ha firmato da
allora, sino all'ultimo Montalbano appena uscito, 'Il cuoco
dell'Alcyon', giocato su recite e finzioni. I suoi rimpianti,
divenuto cieco, diceva che riguardavano principalmente il non
vedere più l'amatissima pittura e il non riuscire più ad
ammirare la bellezza femminile. Negli anni, con i libri tradotti
in trenta lingue e decine di milioni di copie vendute nel mondo,
ha ricevuto una decina di lauree honoris causa e tanti premi.
(ANSAmed).
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Andrea Camilleri, addio al papà di Montalbano
Regista di teatro, funzionario Rai, boom romanziere a 60 anni