(di Francesco Tedesco)
(ANSAmed) - NAPOLI, 29 MAR - "Il muoversi è una delle forze
più forti del nostro tempo e quindi l'integrazione non è
qualcosa di teorico, ma qualcosa di incredibilmente pratico e
che interessa moltissimo anche persone come me, interessate alla
cultura e all'arte". Comincia così Hisham Matar la sua
conversazione a Napoli, ospite del Festival Mann che per otto
giorni ha portato oltre 100 ospiti ed eventi in città.
Lo scrittore libico, premio Pulitzer nel 2017 con il suo
romanzo "Il ritorno", parte dal mix culturale che si innesta
nell'epoca delle migrazioni, soprattutto nel Mediterraneo, e lo
fa da una prospettiva filosofica. "La questione della
integrazione - spega Matar - non è mai stata così importante
come oggi, perché siamo nel momento della storia con il maggior
numero di persone che si muovono, e questo a causa delle guerre,
dei problemi ambientali ma anche per scelta personale".
Un momento storico in cui, quindi, vincono le società
permeabili: "Pensiamoci in termini fisici - dice Matar - hai una
superfice che per la sua composizione non permette alla materia
di essere assorbita. Tutto resta in superficie. Ma le superfici
che ci affascinano di più sono quelle che assorbono la luce o le
sostanze e lo stesso si può dire per le società: quelle che sono
più agili e assorbenti delle influenze esterne, sono migliori".
Partire, muoversi, ma anche tornare. E' qui che Matar sposta
invece l'obiettivo sul suo romanzo e sulla pulsione di chi parte
a cedere alla nostalgia, per quello che Matar chiama "bisogno di
riconoscimento". "Il bisogno del ritorno - spiega Matar - è
connesso alla necessità del riconoscimento, all'essere
identificati. C'è un dipinto di Giovanni di Paolo, "Paradiso",
in cui il pittore immagina come sarà il ritrovarsi nell'aldilà e
lo immagina come un ricongiungimento a due, a coppie, come se le
anime danzassero e ognuna tenesse l'altra per mano e si
guardassero in viso. Il ricongiungimento comporta quindi il
fatto di essere riconosciuti e, di converso, l'inferno è il
fatto di non essere riconosciuti dalle persone che si amano".
Un bisogno legato all'anima, nella visione di Matar, e che
parte dalla paura di essere soli con se stessi. Un problema
esistenziale che coinvolge anche i migranti: "Noi siamo un
mistero per noi stessi - spiega - e quindi vogliamo essere
riconosciuti dagli altri. Niente terrorizza più della domanda:
ti riconosci? Questo problema per alcune categorie di persone
come i migranti non è filosofico ma concreto. Gli immigrati e
gli esiliati devono continuamente fare azioni di traduzione, su
una lingua straniera, su costumi e modi di vivere altri. E se
sei davvero da solo, in esilio, puoi perdere la conoscenza di te
stesso di capire chi sei. E' come cvon quelle forme di tortura
in cui vieni rinchiuso per giorni in una stanza vuota. Il
bisogno di essere riconosciuti è praticamente uguale al
desiderio di esistere". (ANSAmed).
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Hisham Matar, il ritorno e la solitudine dei migranti
Scrittore libico, in epoca movimenti vincono società permeabili