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Cinema: il fragile 'Ordine delle cose' si fa forum dibattito

Segre, un pamphet e un convegno per 'ridefinire' migrazioni

Redazione Ansa

(di Luciana Borsatti)

ROMA - Dalla Mostra di Venezia alle sale italiane (quasi raddoppiate dopo la prima settimana di programmazione), e poi all'estero a partire da Francia e in Belgio, un film che non solo racconta le politiche europee che hanno portato alla recente drastica riduzione degli sbarchi in Italia, ma che punta a "ridefinire" il dibattito sulle migrazioni con un pamphlet, un forum su internet e un prossimo convegno nazionale.

Profetico quasi, 'L'ordine delle cose' di Andrea Segre, visto che è uscito alla Mostra del cinema di Venezia e nelle sale proprio quando il Mediterraneo centrale si è quasi svuotato di migranti, e gli sbarchi in Italia erano stati un quinto di quelli dell'agosto precedente (3.914 contro 21.295). E lucido, nel definire il conflitto tra le ragioni della politica europea (tenere quei migranti lontani, a costo di affidarne le sorti agli stessi trafficanti) e quelle morali di un funzionario di polizia italiano che, visitando in Libia un campo di detenzione destinato a trasformarsi in 'hotspot' per l'identificazione, incontra una ragazza somala e ascolta la sua richiesta di aiuto.

Segre racconta dunque il dramma dei migranti e descrive le logiche della politica europea che li respinge, ma va anche oltre: perché in sala il film è accompagnato da un libretto intitolato "Per cambiare l'ordine delle cose", una raccolta di brevi saggi aperti dall'intervento della scrittrice di origine somala Igiaba Scego; perché il libro invita a partecipare ad un forum in rete (www.lordinedellecose.it e la pagina Facebook del film); perché infine i sostenitori del film, fra cui Banca Etica, Amnesty International, NAGA onlus, Medici per i Diritti Umani, ZaLab e Medici Senza Frontiere, puntano ad un convegno nazionale entro fine anno per fare il punto su tutto questo.

Protagonista del film, è Corrado (Paolo Pierobon), un alto funzionario del Ministero degli Interni italiano specializzato in missioni internazionali contro l'immigrazione irregolare. Il governo lo sceglie per una missione in Libia dove, insieme a colleghi italiani e francesi, si muove tra porti, centri di detenzione per migranti, vertici della guardia costiera libica e potenti locali implicati nel traffico degli esseri umani.
L'incontro con una donna somala, Swada, mette in crisi il suo equilibrio interiore e la sua adesione all'"ordine delle cose" che è stato incaricato di preservare, e gli fa infrangere la regola che impone di non conoscere mai nessun migrante, di considerarli tutti solo numeri. Come tenere insieme la legge di Stato e l'istinto di aiutare qualcuno in difficoltà? Corrado non troverà una risposta, ma ormai i primi mattoni sono stati sfilati dalle fondamenta delle sue certezze.

La coincidenza tra l'uscita del film ed il calo del numero degli sbarchi in Italia per Segre non è solo un caso: lavorando negli ultimi tre anni al film "ho intervistato tanti 'Corrado'", racconta parlando con l'ANSA, che lavoravano per attuare la direzione politica di "affidare a paesi terzi, extra-Shengen, il controllo dei flussi: il 'lavoro sporco' per alcuni o l''affrontare i flussi alla partenza' per altri". Ma con l'obiettivo di fermare questi arrivi "sulla pelle di persone bloccate dove non c'è alcun rispetto dei loro diritti, in luoghi terrificanti e orrendi". Una esternalizzazione ora in atto in Libia con "un governo fantoccio" , aggiunge Segre, ma già realizzato in altre forme altrove, come in Maroccoe Ucraina.E con un'inversione della priorità che dovrebbero essere dell'Europa, sottolinea Segre come fa un funzionario europeo nel film, cioè la garanzia del rispetto dei diritti umani al primo posto, e poi l'intervento per ridurre i flussi. Quello che è "intollerabile", dice ancora Segre convinto che di questo ora si tratti, è che si possa finire per affidare a ex trafficanti il compito di fermare i flussi e di gestire i centri di detenzione.

Ma per il regista veneto, che lavora da anni sul tema migrazioni con documentari e film di fiction, prioritario è "definire" correttamente il problema, come primo passo per una "soluzione capace di unire razionalità ed etica". Una soluzione che non va cercata sulle "linee di scontro" determinate da emergenze come i picchi di sbarchi o gli accampamenti di Calais, rileva, bensì "nella costruzione di vie legali e canali umanitari".

Al suo fianco Segre trova voci come quelle di Igiaba Scego, nata in Italia da genitori giunti dalla Somalia in aereo, sottolinea la scrittrice, e non con il barcone. "L'Europa ha dimenticato quando era lei a scappare dalle guerre" o dalle carestie o dalla povertà, si legge nel suo intervento per il 'pamphlet' che gli spettatori trovano al cinema. "Sono pochi a parlare oggi di diritto alla mobilità e apartheid di viaggio", e di diritto a partire sia per chi scappa dalla guerra o per coronare un sogno. "Non si pensa mai che un corpo del Sud globale voglia studiare, specializzarsi, lavorare per un po' e avere la possibilità di tornare indietro, al paese". E infine, conclude Igiaba Scego, "preoccuparsi per i diritti degli altri non è buonismo, ma significa preoccuparsi dei propri. Perché non si sa a chi toccherà la prossima volta il fato avverso".

Altri autori del pampheto sono Luigi Manconi, Ilvo Diamanti, Andrea Baranes e Pietro Massarotto. E nel cast del film, insieme a Giuseppe Battiston, Valentina Carnelutti, Olivier Rabourdin, Fabrizio Ferracane, Yusra Warsama, Roberto Citran, Fausto Russo Alesi e Hossein Taheri, c'è anche il regista e sceneggiatore Khalifa Abo Kraisse, autore delle Cartoline da Tripoli per la rivista 'Internazionale' con lo pseudonimo di Kelly. 

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