(di Luciana Borsatti)
(ANSAmed) - ROMA, 16 AGO - Ve la ricordate l'estate calda del
burkini in Francia? Era l'agosto di un anno fa, e in una Costa
Azzurra ancora traumatizzata dall'attacco terroristico a Nizza
infuriava la polemica sul diritto delle donne di andare in
spiaggia coperte da capo a piedi.
Per l'allora premier Manuel Valls il burkini era
"incompatibile con i valori della Francia", non un costume da
bagno ma "l'espressione di un'ideologia basata sull'asservimento
della donna". Una presa di posizione la sua, datata 17 agosto
2016, che schierava il governo di Parigi con quella trentina di
sindaci che avevano scelto di mettere al bando l'indumento. Ma
destinata ad essere sconfessata solo una dozzina di giorni dopo
dal Consiglio di stato: l'ordinanza anti-burkini di
Villeneuve-Loubet, contro la quale era stato fatto ricorso,
rappresentava infatti per l'Alta corte "una violazione grave e
apertamente illegale delle liberta' fondamentali, che sono la
liberta' di movimento, di coscienza e la liberta' personale".
Verdetto poi salutato con favore anche dall'Alto commissariato
Onu per i diritti umani, perché il divieto di quei sindaci,
affermava, "discriminava" i musulmani.
A tornare su quella vicenda dell'era pre-Macron è il
sociologo Stefano Allievi, direttore del Master sull'Islam in
Europa dell'Università di Padova, con "Il burkini come metafora.
Conflitti simbolici sull'islam in Europa" (Castelvecchi, pp. 90,
euro 13.50). E lo fa non per ripercorrerne le cronache ma per
sottolineare che il burkini è diventato - dopo l'hijab, la
moschea, il minareto … - "l'ennesimo simbolo della conflitto
culturale che separerebbe islam ed occidente".
Perché è sempre all'insegna di un conflitto tra 'noi' e
'loro' la percezione dell'islam che prevale in occidente, "anche
quando a creare il conflitto sono altri - osserva Allievi - ad
esempio quelli che detestano l'islam". Considerato anche che,
osserva, ''la maggior parte dei musulmani, come tutti noi, passa
la maggior parte del tempo a 'non' configgere con altri".
Con la lucida serenità di chi ha trascorso molto del suo
tempo a studiare le comunità musulmane in Europa e nei Paesi a
maggioranza musulmana, l'autore ritiene "facile prevedere che
l'adozione del burkini da parte di giovani musulmane educate in
occidente", e cittadine europee, "aumenterà" per varie ragioni,
che vanno dall'affermazione identitaria alle mode culturali.
Sull'altro fronte, osserva, "è sempre meno accettabile, in
occidente, il considerare lecita e desiderabile una qualche
sorta di polizia dei costumi", presente invece proprio in certi
paesi islamici.
D'altra parte, rimarca ancora Allievi, non tutte le donne
musulmane sono velate come non tutte quelle occidentali
indossano la biancheria intima Victoria's Secret, popolarissima
invece nei centri commerciali del Golfo e perfino della
rigorosissima Arabia Saudita, "formidabile mercato" per questi
prodotti seppur per la sfera strettamente privata.
Tutto questo a dimostrazione che, naturalmente, il primo
motore di quel dibattito estivo erano ancora una volta la
questione del corpo delle donne e la sfera della sessualità. Il
secondo, il nodo del rapporto tra religione e politica
nell'islam, con le sue possibili declinazioni estremiste e
jihadiste; il terzo, appunto, la presenza dell'islam nello
spazio pubblico europeo. Una presenza che è già una realtà
ineluttabile del presente e del futuro, e che dunque fa di quel
povero burkini, appunto, "una metafora dell'inclusione (o
dell'esclusione)" e di tutte le sue difficoltà. (ANSAmed).
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Il burkini come metafora, un anno fa le polemiche in Francia
Allievi, su corpo donna ennesimo conflitto simbolico con islam