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AltaRoma, in passerella la donna libica secondo Raja El Rayes

Con Rujji racconto il mio Paese. Il sogno, fare del Made in Lybia

Redazione Ansa

(di Cristiana Missori)

ROMA - "Il mio sogno è che presto dietro a ogni capo di abbigliamento possa esserci scritto Made in Lybia. Il mio desiderio, è quello di far conoscere le tradizioni e la ricca cultura della mia terra". A parlare è la stilista libica Raja El Rayes. Ieri sera le sue creazioni - 15 capi tra caftani, tuniche, abiti da sera e da sposa - hanno sfilato sulla passerella dell'Hotel Excelsior di Roma per World of Fashion, evento giunto alla sua 18esima edizione e diretto da Nino Graziano Luca.

Colori sgargianti, cotone impreziosito da fili d'argento, sete lavorate a telaio, ricami, bottoni in filigrana d'argento placcata in oro, sono gli ingredienti del suo marchio 'Rujji', nato nel 2013, con cui la signora El Rayes presenta una donna libica che ama "vestirsi e sentirsi una regina". La sua prima sfilata risale al 2010. Ad AltaRoma, su cui ieri è calato il sipario, è la prima volta. L'amore per la moda e il design, racconta, viene fuori un po' per caso. "Sono cresciuta in mezzo ai tappeti di seta che mio padre realizzava". Il pallino di Raja, che di politica proprio non vuol sentir parlare, è da sempre quello di mettere su un'Accademia di Moda a Tripoli.

Un'idea naufragata poco dopo la caduta di Gheddafi. "Insieme a Gabriella Ferrera, presidente dell'Accademia Euromediterranea di Catania (istituto di alta formazione nel campo della moda, del gioiello, della fotografia e del design, ndr), prima della rivoluzione stavamo lavorando all'idea di aprire un'accademia della moda nella capitale libica", racconta. La strada Raja l'aveva già aperta con il 'Nadi al Banat' (il club delle ragazze), luogo di incontro "dove avevo organizzato dei corsi di cucito per insegnare alle più giovani le vecchie lavorazioni grazie al contributo delle ultime sarte ormai anziane in grado di realizzare questo tipo di artigianato. L'obiettivo era quello di non far morire il nostro vasto patrimonio culturale".

La sfilata di Rujji ricorda al mondo occidentale che anche sotto i colpi di mortaio "in Libia le donne continuano a sposarsi e le stoffe continuano a essere prodotte sul mercato interno". Malgrado il Paese sia in ginocchio, i tessuti per le sue produzioni giungono direttamente da Tripoli, sua città natale, dove ancora vivono alcuni suoi familiari. "Sono in Italia da quasi 30 anni", afferma, ma il cuore continua a battere in Libia da dove continuava a fare su e giù fino a tre anni fa, l'ultima volta in cui è tornata a casa. Fra i capi più costosi delle sue collezioni ci sono proprio gli abiti da sposa.

Sul corpetto di uno di quelli presentati in passerella Raja ha fatto ricamare le parole delle canzoni che tradizionalmente vengono cantate durante i 5 giorni di festeggiamenti. "Spesso per questi intarsi viene utilizzato il filo d'oro". Le sue creazioni vengono vendute tra i 400 euro e i 2500 euro. "Dipende dal tempo che viene impiegato per dare loro forma", commenta.

L'auspicio, conclude la stilista, è che il Paese torni a vivere e che si possano realizzare capi interamente prodotti in Libia.

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