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Mostre: Italia 'Porta di Sion' negli anni '45-'48

A Tel Aviv rassegna sull'Aliya Bet ebraica dalla Penisola

Redazione Ansa

(di Massimo Lomonaco)

(ANSAmed) - TEL AVIV- Tra il 1945 e il 1948, ed oltre, l'Italia fu la 'Porta di Sion': dalle sue coste partirono verso la Palestina, allora sotto Mandato britannico, migliaia di ebrei sopravvissuti alla Shoah. A loro gli italiani, appena usciti dal Fascismo e dall'occupazione nazista, offrirono aiuto e collaborazione con l'obbligo morale di riscattare l'orgoglio nazionale macchiato dalle Leggi Razziali del 1938. Ora una mostra, appena aperta al Museo di 'Eretz Israel' di Tel Aviv, dal titolo 'In risposta ad un capitano italiano', ripercorre quegli anni che segnarono l'epopea della 'Aliya Bet', la seconda 'salita' verso la Terra Promessa. Curata da Rachel Bonfil con l'aiuto della ricercatrice Fiammetta Martegani, la rassegna è uno spaccato dell'epopea messa in atto per portare in maniera clandestina sull'altra sponda del Mediterraneo quanti nell'Europa erano stati discriminati, traditi e infine uccisi dalla Germania nazista e dai suoi alleati. Di questa complessa macchina - dall'acquisto di navi, all'odissea dei profughi ebrei oltre le Alpi e al loro sostentamento fino ai porti di imbarco, al viaggio in mare e all'arrivo a destinazione spesso sfuggendo alla vigilanza britannica - uno degli artefici fu Ada Ascarelli Sereni, moglie di Enzo, eroe di Israele, ucciso a Dachau dopo essere stato paracadutato nell'Italia settentrionale come ufficiale inglese per dare aiuto alla Resistenza e agli ebrei in trappola. Ada - che con il marito (entrambi romani), aveva fatto l'Aliya in Palestina nel 1927 - fu insieme a Yehuda Arazi del Mossad la responsabile dell'organizzazione in Italia e riuscì a portare in patria circa 25 mila ebrei. La mostra ripercorre punto per punto i fatti allora accaduti: da quando gli ebrei scampati allo sterminio nazista incontrarono per la prima volta i soldati con la Stella di Davide, inquadrati nella Brigata Ebraica dell'esercito inglese, fino al loro sbarco in quello che era l'unico posto dove si sentivano e volevano andare. Nel mezzo, la storia di La Spezia, porto ligure, dove i profughi ebrei tra l'aprile e il maggio 1946 attuarono uno sciopero della fame per costringere gli inglesi a far partire le loro navi 'Dov Oz' e 'Eliyahu Golomb'. Un'azione che ebbe il pieno appoggio e la solidarietà di tutta la cittadinanza spezzina e dei sindacati appena risorti. Un braccio di ferro con le autorità britanniche che si concluse l'8 maggio con la partenza delle navi per la Palestina. Ancora oggi - come sottolineano le testimonianze riportate dalla rassegna - sono forti i legami tra quegli ebrei ancora in vita e i loro amici liguri. La vicenda di La Spezia - ha scritto Rachel Bonfil nella presentazione della mostra - fu "un punto di svolta nelle relazioni" tra gli italiani e i profughi ebrei.

Tanto che l'allora presidente del consiglio Ivanoe Bonomi - anche grazie all'opera di Ada Sereni, come raccontò lei stessa nel libro 'I clandestini del mare' (Mursia) - dichiarò ufficialmente che il governo italiano avrebbe appoggiato l'immigrazione ebraica "in e dall'Italia" e che avrebbe fatto tutto quanto in suo potere "per facilitarla". Il titolo scelto per la mostra è tratto dai versi di ringraziamento del poeta di quell'epopea, Nathan Alterman, dedicati all'azione del capitano italiano, Ansaldo, che con la sua nave portò sulle coste a nord di Haifa un gruppo di profughi clandestini ebrei. "Una storia unica", l'ha definita nel catalogo della Mostra Elena Loewenthal, addetto culturale dell'ambasciata italiana in Israele. (ANSAmed).

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