(di Cristiana Missori)
(ANSAmed) - ROMA, 27 LUG - Abiti sobri che celano le forme
scivolandovi sopra, che coprono braccia e corpo, ma alla moda e
colorati. E' l'essenza della ''Modest Fashion'' - una moda
semplice e sobria rispettosa dei valori cui si ispirano le donne
e gli uomini musulmani - che nel 2014 ha generato un giro
d'affari di circa 300 miliardi di dollari e che entro il 2019
dovrebbe attestarsi attorno a quota 484 miliardi. Di moda
islamica si parlerà nel corso dell'incontro dal titolo ''Turin
Modest Fashion Roundtable'', organizzato a Palazzo Civico il 28
luglio prossimo dal Comune di Torino, Thomson Reuters e Dubai
Chamber.
Un mercato, quello musulmano, promettente e immenso che le
case di moda occidentali non posso certo ignorare, ma dove
scarseggiano brand interamente dedicati a questa fetta di
consumatori. ''E dove non esiste - come nei settori della
finanza islamica e del cibo halal (lecito) - una certificazione
in grado di stabilire precisi criteri cui le imprese che
intendono investire possano attenersi'', fa notare ad ANSAmed
Gianmarco Montanari, direttore generale per lo sviluppo
economico della città di Torino e promotore dell'iniziativa. Di
questo e non soltanto, ''parleremo nel corso della tavola
rotonda cui prenderanno parte rappresentanti della moda
italiana, operatori internazionali della moda islamica,
imprenditori e produttori''. Dopo il Turin Islamic Economic
Forum dello scorso anno - primo incontro internazionale,
ricorda, promosso da un'istituzione in Europa per approfondire i
temi dell'economia e della finanza islamica - e quello della
prossima settimana sulla moda, ''in ottobre ospiteremo quello
dedicato al cibo halal''. A far capire che quella è la
direzione giusta, sono i numeri. ''Tra i Paesi con il più alto
numero di consumatori musulmani - sottolinea - secondo gli
ultimi dati disponibili (2013), ci sono la Turchia (39,3
miliardi di dollari) gli Emirati Arabi Uniti (22,5 miliardi di
dollari), l'Indonesia (18,8 miliardi di dollari), l'Iran (17,1
miliardi di dollari), Arabia Saudita (16 miliardi di dollari) e
la Nigeria (14,4 miliardi di dollari). Da non sottovalutare,
poi, la platea europea di fedeli: ''con Francia, Germania e
Regno Unito che ha superato i 25 miliardi di dollari di
consumi'', conclude Montanari.
Nell'industria della moda islamica, spiega dal canto suo Alia
Khan, presidente dell'Islamic Fashion and Design Council -
organizzazione creata per lo sviluppo dell'industria della moda
islamica nel mondo - esiste un vero e proprio vuoto da parte dei
produttori occidentali. ''Poca consapevolezza e capacità di
aggredire questo mercato ancora inesplorato, anche dalle aziende
italiane''. A lanciare collezioni per il Ramadan - il mese sacro
di digiuno - sono state nel tempo griffe come DKNY, ''la prima
tra le grande firme a farlo'', seguita da case che alla donna
musulmana hanno dedicato parte delle loro linee (''Valentino,
Dolce & Gabbana, Prada, Victoria Beckham, Yohji Yamamoto e
altri''). E anche marchi più popolari ''come Zara e Mango, che
quest'anno hanno lanciato una propria Ramadan Collection così
come H&M''. Ma non basta. Serve, rilancia Khan, ''uno studio più
attento dei consumatori musulmani che non si sentono compresi al
100%''. Indubbio il problema della certificazione. Il suo
organismo, rimarca, sta lavorando a un marchio ''iFash''
(Islamic fashion) che consenta ai brand intenzionati a investire
nella moda islamica di ottemperare ad alcuni requisiti e fare in
modo che i potenziali clienti sappiano dove rivolgersi per i
loro acquisti che devono essere ''modest''. Al contrario di
quanto sostengono alcuni, gli abiti alla maniera 'islamica' sono
ricchi, pieni di stile e design e la domanda di questi è in
continua ascesa. Ignorarlo sarebbe un errore. (ANSAmed).
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Moda,quella islamica punta a un giro d'affari da 484 mld dlr
A Torino incontro su Modest Fashion,dove avanza brand Occidente