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Cinema: Firenze, Turchia protagonista a Middle East Now

Emine Balci, vorrei un Paese in cui è possibile almeno respirare

Redazione Ansa

(di Cristiana Missori)

(ANSAmed) - ROMA - "Vorrei una Turchia in cui è possibile almeno respirare. Lo dico come donna e come essere umano. Vivere in questo momento storico nel mio Paese è psicologicamente molto pesante. L'atmosfera è molto tesa. Lo è sul piano sociale, economico e individuale". Sono parole di profondo pessimismo quelle pronunciate da Emine Emel Balci, giovane regista turca che ieri sera al cinema Odeon di Firenze ha presentato in anteprima italiana il suo Until I lose my breath. Un lungometraggio, il primo per l'artista trentenne, nata e vissuta sempre a Istanbul, che certo non trasuda ottimismo e sentimento di speranza. La storia è quella di Serap, adolescente inquieta che lavora in una fabbrica di tessuti a Istanbul e sogna di lasciare la casa che divide con l'opprimente sorella e il cognato per andare a vivere da sola con il padre, ma quando l'uomo si dimostra indifferente al suo desiderio sarà lei a prendere in mano la situazione. Una pellicola che dipinge la città sul Bosforo in maniera diversa da come spesso viene percepita dai milioni di turisti che ogni anno la visitano: non pittoresca e fascinosa, ma povera e dolente, dove trovano spazio disillusione e rassegnazione. "Sono molto pessimista - racconta ad ANSAmed l'artista - su quanto sta accadendo in Turchia. Non credo che il Paese abbia imboccato la giusta direzione". Non si azzarda a fare ipotesi di scenario su quanto accadrà dopo il 7 giugno, data cruciale in cui si svolgeranno le elezioni politiche definite da alcuni osservatori "le più importanti della storia del Paese". "Non credo che cambierà poi molto e non lo credono nemmeno le migliaia di persone che erano scese in piazza per Gezi Park", sospira. Proprio nella sua Istanbul, la capolista del principale partito di opposizione turco, il Chp di Kemal Kilicdaroglu, sarà la candidata cristiana armena, Selina Ozuzun Dogan. "E' troppo tardi", replica secca. "Potevano pensarci prima ad aprire alle minoranze etnico-religiose". E proprio della tragedia del popolo armeno, parla The Cut, lungometraggio appena uscito nelle sale italiane - proprio in occasione del centenario del genocidio - firmato da un altro regista turco, Fathi Akil. "Akil ha fatto una scelta molto coraggiosa". E lei - che a differenza di Akil vive stabilmente in Turchia - l'avrebbe fatta una scelta del genere? "La storia giusta da raccontare - dice - la devi sentire. Nel mio primo lungo documentario, Ich liebe dich (presentato in diversi festival tra cui la Berlinale, ndr) ho scelto di parlare di donne curde. Sono molto interessata ai temi sociali e alle condizioni di vita nella nostra società".

Fare cinema in Turchia e affrontare alcune questioni mettendo davanti allo specchio la società turca non è cosa semplice. "A sostenere l'industria è soltanto il governo che sceglie se finanziare o meno i film a seconda della sceneggiatura. Bisogna essere politicamente corretti per ricevere sostegno economico. E comunque le cifre messe a disposizione non bastano a coprire interamente i costi di realizzazione". L'unica strada restano le co-produzioni. In genere francesi o tedesche, come nel caso di Until I lose my breath.(ANSAmed).

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