(di Francesca Bellino)
(ANSAmed) - ROMA, 7 apr - A volte i romanzi a fumetti riescono a
raccontare meglio di altre forme letterarie la grande storia. E'
il caso di "Se ti chiami Mohamed", traduzione di "Les Mohamed",
romanzo grafico di Jérme Ruillier che arriva in Italia in questi
giorni grazie alla casa editrice Il Sirente e inaugura la
collana Altriarabi migrante, con il patrocinio di Amnesty
International Italia. Basato sulla raccolta di testimonianze del
documentario e del libro di "Mémoires d'immigrés di Yamina
Benguigui, il volume di Ruillier, tradotto da Ilaria Vitali,
ricostruisce con semplicità e immediatezza la storia
dell'immigrazione maghrebina in Francia dal 1950 a oggi. "Il
clima nauseabondo creato da alcuni partiti politici e l'abuso di
stereotipi mi ha fatto venire voglia di cominciare questo lavoro
sulla storia dell'immigrazione maghrebina che fa integralmente
parte della storia della Francia - spiega il disegnatore -.
Quello che mi ha interessato particolarmente del tema e' l'uso
di "capri espiatori" per scopi elettorali. Ho sentito, inoltre,
il bisogno di confrontare l'immaginario con la realta'". "Se ti
chiami Mohamed" e' un reportage in fumetto che, attraverso i
suoi personaggi,
i tanti "Mohamed" arrivati in Francia da Algeria, Tunisia,
Marocco per lavorare nell'edilizia, in fabbrica, in miniera,
attraversa un mondo di aspettative e di sogni, di rapporti e di
disagi ancora attuali. Razzismo, esclusione sociale, solitudine,
ingiustizia e miseria sono problematiche presenti in molte delle
storie narrate di fianco ad altri temi centrali e costanti come
la ricerca identitaria, la voglia di integrazione, il desiderio
di mantenere un legame con il Paese d'origine. La scelta
stilistica di rappresentare i personaggi come animali
antropomorfi, un misto tra topi e orsi, avvicina il lavoro a
capolavori come "Maus" di Art Spiegelman che ha raccontato
egregiamente l'Olocausto per immagini. Ruillier ci commuove
pagina dopo pagina facendoci avvertire la volonta' di assimilare
l'essere immigrato all'essere portatore di un handicap. Ci porta
nelle case dei maghrebini, vicino ai loro sentimenti piu'
intimi, e ci mostra le loro preoccupazioni: quelle dei padri di
non mostrare ai figli la sofferenza della migrazione ("Non
voglio che portino rancore. Voglio che diventino buoni
cittadini"); o quella delle madri di insegnare alle figlie lo
studio, la liberta' e la bellezza ("Sono rimasta tutta la
giornata a guardare delle cose così belle che mi facevano male
gli occhi"), o quella dei figli stessi, costretti a vivere in
bidonville e case provvisorie, tra fango e rifiuti, impegnati a
rivendicare le umiliazioni subite dai loro genitori. "Noi figli
del Maghreb periferico - dice uno dei personaggi -, abbiamo
proprio bisogno di rivedere i valori basilari della psicanalisi.
Nel mito di Edipo bisogna uccidere il padre, ma noi, invece,
dobbiamo farlo rivivere. È stato ucciso socialmente dal
Colonialismo, dalle guerre, dall'immigrazione. Invece di
ucciderlo, è compito nostro, di noi figli, farlo rivivere,
fargli risollevare la testa, che stia dritto e fiero come quando
si faceva fare una foto nel suo bel completo, per inviarla alla
famiglia rimasta al paese e rassicurarla". "Non ho legami
particolari con la storia del Maghreb, a parte che mio padre ha
fatto la guerra di Algeria - racconta l'autore nato nel 1966 in
Madagascar - Ma sono stato fortemente attratto dalle
testimonianze di Yamina Benguigui. Lei riesce a dar voce alle
persone, a mettere gli esseri umani dove altri mettono i
numeri". (ANSAmed).
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Libri: la storia dell'immigrazione maghrebina in fumetto
Arriva in Italia il libro ispirato al documentario di Benguigui