(Di Francesco Gallo)
(ANSAmed) - ROMA, 20 GEN - Postmoderni, spiazzanti, ironici,
antieroici, ma anche profondamente biblici, perché dietro ad
ogni loro film un Dio c'è sempre. Così si potrebbero definire
Joel e Ethan Coen, che approdano al prossimo Festival di Cannes
(13-24 maggio) in qualità di presidenti di giuria (è la prima
volta di una coppia) anche in omaggio ai 120 anni
dell'invenzione dei fratelli Lumiere. Andamento autoriale e
volutamente grottesco, il loro cinema rifiuta per principio le
etichette. Se lo definisci non lo trovi più.
Capaci di sperimentazione, da 'Fargo' a 'Non è un paese per
vecchi', i due fratelli nati a St.Louis Park dicono di loro:
''Amiamo la libertà di raccontare le storie che a Hollywood non
piacciono, perché non sono consolanti e i personaggi sono
tutt'altro che eroici. Ma quando scriviamo noi non ci
preoccupiamo mai dell'oggi e non vogliamo fare nessuna
riflessione sull'attualità''.
Nei loro film, a partire da 'Il grande Lebowski', sottolinea
in una intervista fatta loro da Paolo Sorrentino:''i Coen hanno
convinto gli spettatori della forza della divagazione. Hanno
sdoganato la gratuità, elevandola a forma d'arte, regalando a
tutti i cineasti successivi una nuova, impensata forma di
libertà...''. Va detto che i due fratelli, detti 'Il regista a
due teste', fanno tutto assieme: scrivono le scene, fin nei
minimi dettagli, per arrivare forse alla fase più difficile: il
montaggio. ''È la fase della disperazione - hanno detto più
volte -. Il momento in cui dobbiamo decidere se infilarci una
pistola in bocca e premere il grilletto o infilarci nella vasca
da bagno e tagliarci le vene. Il montaggio serve a risolvere i
problemi''.
Sul loro umorismo fin dentro la violenza (basti pensare al
personaggio di Javer Bardem in Non è un Paese per vecchi) non è
possibile non pensare all'umorismo ebraico.
''La razionalità contro l'assurdo compare specie nelle storie
yiddish - dicono parlando di Serious man, forse il loro film più
personale -. Nei racconti di Singer , che abbiamo letto, si
parla molto di dybbuk , l'anima di un defunto che torna per
impressionarsi di un vivo. Noi non volevamo parlare della morte
in modo esplicito , però l'elemento c'è. Il film è il nostro
modo di rappresentare la cultura ebraica''. (ANSAmed).
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In giuria a Cannes gli ironici e spiazzanti Coen
Definiti un regista a due teste. Novità in omaggio a Lumiere