(di Giorgio Gosetti)
(ANSAmed) - ROMA, 13 NOV - Viene da lontano la storia di
Viviane, il film di Ronit e Shlomi Elkabetz che una coraggiosa
distribuzione indipendente, Parthenos, porta nelle sale italiane
dal 20 novembre e che ha avuto la sua anteprima italiana nel
prestigioso Pitigliani Kolno'a Festival di Roma. Viene da
lontano perché si tratta del terzo capitolo di una storia
familiare che i due registi (fratello e sorella) hanno avviato
con "Prendere moglie" nel 2004 e poi sviluppato con "I sette
giorni" nel 2008. L'eccezionalità di questo racconto a più voci
sulla libertà di una donna nell'Israele di oggi (ma la vicenda è
ambientata tra gli anni '80 e '90) viene dalla fedeltà dei suoi
interpreti: la bellissima Ronit Elkabetz è da sempre il volto di
Viviane, mentre il grande attore israeliano Simon Abkarian
interpreta ancora una volta il marito della donna e sono molti i
personaggi che collegano tra loro i tre capitoli. Presentato in
anteprima mondiale all'ultimo festival di Cannes (Quinzaine des
Réalisateurs), "Viviane" rappresenterà Israele alla prossima
edizione dell'Oscar e ha già fatto razzia di premi nonostante i
suoi autori siano stati spesso contestati in patria per
posizioni ideologiche in netto contrasto con quelle del governo
e anche in questo caso abbiano dato luogo a fiere polemiche da
parte dei circoli più conservatori. A raccontarne la trama, il
film può far venire in mente un'idea di cinema claustrofobico.
Nulla di più errato perché è impossibile sfuggire alle emozioni
che suscita. La protagonista Viviane ha infatti deciso dopo tre
anni di chiedere al marito il divorzio e per questo vuole andare
davanti al giudice. In Israele però la rottura del matrimonio
(anche se si tratta di un atto da codice civile) sottostà alla
legge religiosa, l'unico giudice inappellabile è il tribunale
rabbinico e c'è bisogno dell'assenso del maschio, senza il quale
non si può procedere. Nel caso di Viviane, suo marito Elisha si
oppone e trova connivenza nel'ambiguità del rabbino Shimon
(Sasson Gabai). Sicché la battaglia legale di Viviane diventa la
pietra dello scandalo per una società che si vuole moderna e
civile, ma che poi rivela il suo lato confessionale e
maschilista proprio negli atti civili che regolano la
convivenza. Un fatto privato diviene uno scandalo pubblico. La
battaglia tra maschio e femmina si consuma nell'aula di
tribunale in cui si affrontano due idee di civiltà ormai
inconciliabili. Il coraggio di Viviane, la sua limpidezza e
sofferenza sono un monito per le donne di tutto il mondo e
questo afflato universale voluto dai due autori rende "Viviane"
un film ricco di emozioni e di umana contradditorietà, senza
vincitori né vinti. In questo duello rifulge la bellezza intensa
di Ronit Elkabetz, una protagonista che è oggi la migliore
ambasciatrice della moderna Israele, e spicca la modernità
cinematografica di due autori che da sempre fanno della macchina
da presa non un osservatore neutrale, ma un testimone che di
volta in volta prende le parti dei personaggi e trascina lo
spettatore nello "spazio chiuso" del tribunale, tra amici,
familiari, giudici. Un tour de force visivo ed emotivo che rende
"Viviane" davvero un grande film. (ANSAmed).
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Cinema: la ribelle 'Viviane' racconta l'altro Israele
Parthenos porta in Italia film Elkabetz candidato paese a Oscar