Rubriche

Egitto: Wadi Natrun, il deserto degli asceti

Dove da secoli i fedeli trovano rifugio

Ponte levatoio utilizzato dai monaci per rifugiarsi contro le invasioni fino al VII secolo -Monasteri di Wadi Natrun (foto Cristiana Missori)

Redazione Ansa

(di Cristiana Missori) (ANSAmed) - IL CAIRO - ''Nei momenti più duri della rivoluzione scoppiata nel gennaio del 2011, malgrado il fatto che la strada che collega il Cairo ad Alessandria fosse pericolosa e teatro di continue rapine e aggressioni spesso finite in tragedia, i fedeli sono continuati ad arrivare. Un flusso di persone inarrestabile, in cerca di un di protezione e di un po' di sollievo''. Ad accogliere i tanti pellegrini alla porta del monastero copto ortodosso di Anba Bishoy, a Wadi Natrun (la valle del sale) è padre Bejimi. Di origini eritree, da venti anni vive in questo monastero immerso nel deserto libico. E' uno dei quattro monasteri - insieme a quello dei Siriani, quello dei Romani e quello di San Macario - fondati nel IV secolo, in una zona in cui gli antichi egizi estraevano il natron (carbonato idrato di sodio) usato nella mummificazione. E' in questa valle arida, fra le alte mura color miele che i monaci trovarono rifugio, cercando di allontanarsi dalla vita mondana.

Da qui partì il monachesimo che si diffuse poi in Occidente.

''Si tratta - ricorda padre Bejimi - di una delle regioni più sacre per la cristianità''. Secondo la tradizione, in questa zona, la Sacra Famiglia si fermò durante il suo viaggio in Egitto. Ed è per questo motivo che Wadi Natrun è entrata a fare parte a pieno titolo dell'offerta turistica proposta dalle autorità egiziane ai visitatori stranieri. Alla notizia, padre Bejimi non si scompone. ''In questo luogo - commenta - i fedeli accorrono a migliaia, in particolare durante le festività, tra maggio e agosto. Mentre gli stranieri non superano nemmeno il migliaio l'anno''. Qui, dove un tempo sorgevano 60 monasteri, i monaci praticano l'astensione dal cibo per oltre 210 giorni l'anno, e offrono prodotti locali come pani caldi, miele, olive, angurie, fichi, datteri, melanzane e liquori ai visitatori che possono anche chiedere di fermarsi per la notte. In tanti, però, passano anche solo l'intera giornata. A piedi scalzi, seduti sui tappeti, con in mano un messale, pregano all'interno delle diverse chiese realizzate all'interno dei complessi monastici. ''Un oasi di pace, dove trovare protezione in questi terribili momenti che sta vivendo il Paese'', prosegue il monaco che, infaticabile, racconta l'antica storia di questi monasteri. Complessi totalmente autosufficienti, che ospitano vere e proprie aziende agricole che superano anche i 4 mila ettari, come nel caso di Anba Bishoy, dove vivono 220 monaci - e con al loro interno uno 'qsar', una piccola fortificazione che grazie all'ausilio di un ponte levatoio consentiva ai monaci di rifugiarsi durante i saccheggi e le invasioni che fino al VII secolo colpirono violentemente la regione. Scegliere di visitare Wadi Natrun, come ricorda lo stesso padre Bejimi, significa provare ad avvicinarsi a questo mondo, fatto di semplicità e di spiritualità. Fra le mura di questi monasteri non è possibile trovare mosaici a foglia d'oro o affreschi da mozzare il fiato. L'arte realizzata dai monaci copti, spesso in condizione di grandissima povertà, comprende però anche piccoli capolavori, fra rilievi, pitture parietali, fregi, preziosi manoscritti miniati e codici, icone, cofanetti lignei, tessuti dipinti su lino o lana. Ne sono un esempio gli affreschi e le icone, alcune delle quali risalenti al VII secolo, che adornano la chiesa principale dedicata alla Vergine del vicino monastero dei Siriani. Il più piccolo dei quattro.

Oltre a conservare le opere più importanti dell'arte copta dopo l'anno mille, Deir El Soriany è famoso per la sua ricca biblioteca (nel XIX secolo, mille volumi furono trasferiti al British Museum). (ANSAmed).

Leggi l'articolo completo su ANSA.it