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La Serbia ricorda l'avvio dei raid Nato nel 1999

Almeno 2.500 morti e 12.000 feriti, per Belgrado fu 'aggressione'

L'ex sede dello Stato Maggiore della Difesa ancora in macerie nel centro di Belgrado

Redazione Ansa

BELGRADO - La Serbia ricorda oggi il 24esimo anniversario dell'inizio della campagna di bombardamenti Nato che nella primavera 1999 posero fine alla guerra del Kosovo. Come da tradizione, tale doloroso anniversario viene segnato da raduni, conferenze, cerimonie commemorative in tutto il Paese, in particolare nelle località particolarmente colpite dai raid alleati che provocarono migliaia di vittime ed enormi distruzioni. L'evento commemorativo centrale è in programma nel tardo pomeriggio a Sombor, nel nord della Serbia, alla presenza del presidente Aleksandar Vucic.

I raid Nato - decisi senza mandato Onu e che la Serbia definisce regolarmente 'aggressione' - scattarono su ordine dell'allora segretario generale dell'Alleanza Atlantica Javier Solana la sera del 24 marzo 1999 con i primi cacciabombardieri decollati dalla base di Aviano nel nordest dell'Italia, e si conclusero il 9 giugno dopo 78 giorni di martellanti bombardamenti che colpirono obiettivi militari ma anche civili, causando la morte di almeno 2.500 persone e il ferimento di altre 12 mila, tra militari e civili. La motivazione dei vertici alleati - il comandante in capo delle Forze Nato era allora il generale americano Wesley Clark - fu quella di evitare una catastrofe umanitaria a causa della brutale politica di repressione e pulizia etnica condotta dal regime dell'allora uomo forte serbo Slobodan Milosevic.

I danni provocati alla Serbia dai bombardamenti alleati sono stati valutati in decine di miliardi di dollari, con la distruzione o il danneggiamento a infrastrutture vitali quali strade, ponti, fabbriche, scuole, ospedali, musei, teatri, siti culturali, sedi di giornali e televisioni. A Belgrado le autorità hanno volutamente lasciato in macerie alcuni enormi edifici sedi del Ministero della Difesa e dello Stato Maggiore bombardati nel pieno centro della capitale nella primavera 1999, a dimostrazione dell'aggressione subita dall'Alleanza Atlantica.

L'episodio scatenante dei raid viene ritenuta la strage di una quarantina di persone di etnia albanese da parte dei serbi a Racak, località a sud di Pristina. Mentre la parte kosovara sostiene che si trattò di un massacro di civili innocenti, secondo Belgrado le vittime erano militanti dell'Esercito di liberazione del Kosovo (Uck), la guerriglia indipendentista albanese, ritenuta dai serbi ancora oggi una vera e propria organizzazione terroristica. Si trattò per Belgrado di una operazione attuata per garantire la sicurezza nazionale. Ma la comunità internazionale non accettò tali giustificazioni, denunciando un crimine efferato contro la popolazione civile.

Cinque anni fa è stata costituita in Serbia una speciale commissione incaricata di indagare sulle conseguenze dei bombardamenti Nato con l'impiego di uranio impoverito, ritenuto all'origine di numerosi casi di tumori, e anche dell'inquinamento delle acque di Sava e Danubio. Finora, anche con l'assistenza dell'avvocato italiano Angelo Fiore Tartaglia, da tale commissione sono state presentate già alcune denunce contro la Nato. Il legale italiano assiste il collega serbo Srdjan Aleksic, che rappresenta gli interessi di familiari di vittime e malati di cancro che accusano l'Alleanza Atlantica, chiedendo risarcimenti sul modello di quanto avvenuto a beneficio di numerosi militari italiani ammalatisi di cancro dopo essere stati in missione in Kosovo.

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