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Migranti: studio contesta status 'Paese sicuro' Tunisia

'Persone bloccate nel Paese vittime privazioni di diritti umani'

Protesta di rifugiati e richiedenti asilo davanti alla sede dell'UNHCR a Tunisi

Redazione Ansa

TUNISI - Una ricerca condotta da tre università tunisina, italiana e francese sulle conseguenze dell'esternalizzazione delle frontiere Ue in Tunisia mette in discussione lo status di 'Paese sicuro' della Tunisia, che "impedisce a circa 9.000 rifugiati e richiedenti asilo di lasciare il Paese". Lo studio "Aspettando a metà strada: l'illegalizzazione del movimento in Tunisia, Paese non sicuro", frutto del lavoro di Riccardo Biggi, Valentina Lomaglio e Luca Ramello reso possibile dall'Università di Sousse, dalla Ca' Foscari di Venezia e dalla Paul Valery di Montpellier, è disponibile in inglese sul sito dell'Ong Forum tunisino per i diritti economico sociali (FTDES).

"Queste persone, bloccate in Tunisia in condizioni di vita molto difficili, sono vittime di importanti privazioni dei diritti umani", afferma la ricerca, che cerca quindi di rispondere alla domanda: "può la Tunisia essere considerata un Paese sicuro?", attraverso l'analisi delle testimonianze e rivendicazioni dei circa 300 richiedenti asilo e rifugiati principalmente provenienti dall'Africa subsahariana, che da febbraio a luglio 2022 hanno protestato davanti alla sede di Tunisi dell'Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR).

Questi, dopo aver iniziato la loro protesta nella cittá meridionale di Zarzis, hanno raggiunto poi Tunisi e hanno attuato un sit-in davanti alla sede dell'UNHCR chiedendo di essere evacuati dalla Tunisia e ricollocati in Paesi terzi sicuri. I manifestanti hanno protestato contro l'organizzazione dei flussi migratori in Tunisia, specialmente contro la gestione dell'agenzia ONU, che secondo loro "nega la loro libertà di movimento e contribuisce alla loro marginalizzazione socio economica", sottolinea la ricerca.

Lo studio realizzato dalle tre università mette in luce il carattere politico di alcuni istituti apparentemente neutrali del diritto internazionale: da una parte le categorizzazioni di "migranti economici", "rifugiati", "vulnerabilità", "paese sicuro"; dall'altro le legislazioni in materia di accesso ai visti e fruibilità dei passaporti. Questi, sostiene la ricerca, sono strumentali alla difesa delle frontiere degli Stati europei, con conseguenze gravissime per le persone che desiderano raggiungerli. In tal senso il sistema dei visti e delle frontiere europee insieme alla governance internazionale delle migrazioni è descritto come un sistema fondato sul razzismo istituzionale, nonché mosso da logiche di sfruttamento delle persone il cui movimento viene illegalizzato per scopi politici.

"A differenza di quanto dichiarato da UNHCR - scrivono gli autori -, la decisione di offrire nuovi dormitori e ripristinare l'assistenza ha semplicemente rimandato la ricerca di una soluzione duratura alla condizione dei manifestanti, mentre continua ad essere irrealistico per la quasi totalità di essi poter lasciare la Tunisia per un Paese sicuro". Concludendo, lo studio osserva come 'l'illegalizzazione dell'emigrazione dalla Tunisia - complici il governo tunisino, UNHCR e l'Ue - non riduca la motivazione a raggiungere l'altra sponda del Mediterraneo nelle maniere più pericolose, ovvero le uniche realisticamente possibili, anche al prezzo di far ritorno nel cosiddetto "inferno libico".

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