(ANSAmed) - BEIRUT, 10 FEB - Decine di persone, parenti delle
vittime della devastante esplosione del porto di Beirut il 4
agosto 2020, hanno fatto irruzione stamani nel Palazzo di
Giustizia della capitale libanese, per chiedere a gran voce la
ripresa dell'inchiesta sospesa "per ragioni burocratiche" da più
di due mesi.
Il 4 agosto di due anni fa 2.750 tonnellate di nitrato di
ammonio, lasciate incustodite per sette anni in uno degli hangar
del porto di Beirut, nel cuore del centro abitato, sono esplose
causando 220 uccisi, 6.500 feriti, molti dei quali menomati e
sfigurati a vita. I parenti di queste vittime, riunitisi in
associazione, chiedono la ripresa del lavoro degli inquirenti,
guidati dal giudice Tareq Bitar.
L'inchiesta, interrotta più volte, è ferma dai primi di
dicembre perché uno degli ex ministri incriminati ha presentato
ricorso. La valutazione di questo ricorso, che blocca
automaticamente il lavoro degli inquirenti, non è stata ancora
effettuata a causa dell'assenza al Palazzo di Giustizia del
giudice competente. Finora l'inchiesta ha chiamato in causa nove
tra i più alti esponenti istituzionali e dei servizi di
sicurezza del Libano, confermando - come era già emerso nelle
settimane successive all'esplosione - che i dirigenti libanesi
di alto e medio livello erano a conoscenza della presenza del
nitrato di ammonio nel porto, a due passi dal centro abitato.
Un terzo della città di Beirut è stato investito e
danneggiato dall'esplosione. Circa 300mila persone hanno dovuto
abbandonare le loro case in seguito alla deflagrazione,
considerata una delle più potenti esplosioni non nucleari della
storia. (ANSAmed).
Leggi l'articolo completo su ANSA.it
Libano: esplosione porto Beirut, protesta parenti vittime
L'inchiesta sospesa da più due mesi per ragioni burocratiche