(di Stefano Intreccialagli).
(ANSAmed) - ROMA, 27 GIU - "Era molto bello vivere in Siria"
racconta Abu Rabiah. "Lì ero a capo di un gruppo di muratori.
Costruivamo case. Avevo una macchina, una moto, un pezzo di
terra grande. Lavoravo insieme ai miei 4 fratelli". Tutto questo
prima della guerra, prima della fuga in Libano per sopravvivere
alle bombe, prima della nuova vita in Italia. Abu Rabiah Satouf
viene dalla città di Homs, in Siria. È arrivato in Italia nel
febbraio del 2016 e oggi vive a Trento. "In Siria avevamo
paura", spiega all'Ansa. "Non si poteva parlare di politica, era
pericoloso. Il governo non vuole altri al potere, non vuole la
libertà. Quando i nostri ragazzi hanno chiesto la libertà per il
popolo, la risposta è stata la repressione armata e i morti". La
famiglia di Abu Rabiah non voleva finire arruolata nell'esercito
ed uccidere, e non voleva essere uccisa dalle bombe. "A noi non
piace la guerra, vogliamo la pace e avevamo paura per i nostri
bambini, così siamo fuggiti in Libano".
Il tragitto dalla Siria al Libano non è stato lungo, ma
comunque molto pericoloso. "C'erano posti di blocco, uccidevano
le persone". Abu Rabiah e la sua famiglia trovano riparo in un
campo profughi a Tel Abbas, a pochi chilometri dal confine
siriano. "Lì sono stato tre anni", spiega Abu Rabiah. Quello di
Tel Abbas è un campo informale, ma "lì abbiamo costruito una
piccola scuola, perché i bambini siriani non vanno nelle scuole
libanesi, tante famiglie non hanno documenti o permessi. Questo
significa anche non avere un lavoro, e quindi denaro per
vivere". Grazie a questo progetto i bambini possono imparare a
scrivere in arabo e studiano inglese e francese.
Dall'aprile del 2014 i profughi hanno il supporto dei
volontari di "Operazione Colomba", corpo di pace non violento
della Comunità Papa Giovanni XXIII, che vivono insieme a loro
nel campo. L'organizzazione offre ai profughi sostegno per i
bisogni più immediati e segnala alle organizzazioni che si
occupano di realizzare corridoi umanitari gli individui in
maggiore difficoltà. Proprio grazie a questo lavoro, Abu Rabiah,
sua moglie, i suoi quattro figli, sua madre e i suoi fratelli,
sono riusciti ad arrivare in Italia. "Sono arrivato qui grazie
ai corridoi umanitari". Abu Rabiah ha fatto parte del primo
gruppo arrivato in Italia insieme ad altre 30 persone del campo
profughi. "Qui è bello perché i bambini possono andare a scuola,
è importante per loro perché in Libano non ci sono mai andati".
Oggi il primo impegno di Abu Rabiah è "lavorare per la pace in
Siria, perché voglio tornare a vivere nella mia terra", spiega.
"Intanto cerco lavoro, e sto imparando la lingua italiana per
far uscire anche qui la voce dei siriani".(ANSAmed).
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Abu Rabiah, in Italia grazie ai corridoi umanitari
La fuga da Homs, profugo in Libano, l'aiuto degli italiani