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Albania non dimentica vittime comunismo, cerca verità

A Tirana, un Istituto scava nel passato a 24 anni fine era Hoxha

Un campo di detenzione in Albania ai tempi della dittatura di Hoxha

Redazione Ansa

(di Cristiana Missori)

TIRANA - Un'intera classe di intellettuali, dissidenti politici, religiosi - musulmani e cristiani - cancellata. Centinaia di arresti, detenzioni e torture senza uno straccio di processo. Decine e decine di sparizioni. Mentre l'Albania prosegue la sua corsa verso l'Europa, tentando di gettarsi alle spalle il tempo della dittatura di Enver Hoxha (1944-1985), c'è chi cerca di fare luce su quel passato per cui nessuno fino a oggi ha mai pagato e chiesto perdono: l'Istituto per gli Studi sui crimini e le conseguenze del comunismo di Tirana (Iskk).
''A 24 anni dalla fine del regime comunista la verità su quanto accadde in quei terribili decenni non è mai emersa'', racconta ad ANSAmed il direttore dell'Istituto, Agron Tufa.
''Chi collaborò e lavorò con la vecchia nomenclatura è ancora lì; occupa posti chiave in politica, nella pubblica amministrazione, nelle istituzioni culturali e scientifiche''.
Ancora oggi, dice, ''i libri di testo e i programmi di insegnamento sono intrisi di quella cultura. Le stesse strade e le piazze portano ancora i nomi dei persecutori dell'epoca''.
Finora, ribadisce, ''nessuna giustizia è stata fatta''.
L'Istituto, l'ultimo a nascere in ordine cronologico in Europa dell'Est grazie a uno stanziamento di fondi statali (nel 2011), ''è la prima istituzione a provare a fare chiarezza su quei 45 anni di terrore''. Ospitato nell'edificio che un tempo fu la residenza del Luogotenente generale del Re d'Italia, Francesco Jacomoni di San Savino, al suo interno lavorano insieme a Tufa 14 persone. Fra i progetti e le pubblicazioni che l'organismo porta avanti ce ne è uno ciclopico: ''l'Enciclopedia delle vittime della dittatura''. In tutto 15 volumi - di cui 3 già pubblicati - che includono tutte le vittime, i perseguitati e gli imprigionati del comunismo albanese''. Un lavoro enorme che passa dallo studio dei documenti dell'archivio di Stato - compreso quello segreto - alla raccolta diretta delle testimonianze dei sopravvissuti. ''Li andiamo a intervistare uno a uno'', spiega Tufa, docente di Teoria della traduzione alla Facoltà di giornalismo di Tirana. I loro racconti, ammette, ''sono spesso atroci''. Una missione nella missione, è poi quella di fare emergere le storie dei dispersi del primo decennio della dittatura, ''fucilati di cui non si sa nulla e di cui non esiste traccia o censimento, nemmeno nei documenti riservati''.
Un capitolo a sé riguarda invece i religiosi albanesi - cattolici e musulmani - perseguitati, torturati, umiliati o eliminati tra il 1945 e il 1967. Tra il '67 e il '75, fu la volta della distruzione fisica di chiese e moschee o della loro trasformazione, fino ad arrivare al 1976, quando l'ateismo divenne l'unica religione ufficiale per Costituzione. Lo scorso anno, Papa Francesco incontrò a Tirana, alcuni religiosi albanesi sopravvissuti alla violenza del regime che voleva sterminare chi credeva in Dio. Fino a ora lo Stato albanese non ha mai chiesto perdono nemmeno per quei martiri cattolici.

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