(ANSA) - TUNISI, 08 SET - Il 25 luglio scorso, il presidente
tunisino Kaïs Saïed ha destituito il primo ministro Hichem
Mechichi, sospeso per 30 giorni le attività del parlamento e
revocato l'immunità dei deputati. Misure prorogate
successivamente "sino a nuovo avviso". Le decisioni di Saied, da
lui giustificate con l'art. 80 della Costituzione, considerate
da altri invece controverse e incostituzionali, hanno suscitato
comunque la speranza in tutto il paese che possano porre fine
allo stallo politico della Tunisia e aprire la strada alle
autorità per affrontare alla fine la grave lotta socioeconomica
che ampi strati della società si trovano ad affrontare.
In un intervento per l'Ufficio Nord Africa della Fondazione
Rosa Luxemburg Stiftung il noto ricercatore Mohamed-Dhia Hammami
della Maxwell School of Citizenship and Public Affairs presso la
Syracuse University negli Stati Uniti spiega perché l'intervento
di Saïed rischia di fallire nel soddisfare le aspirazioni della
gente, l'impatto delle istituzioni finanziarie tunisine e
internazionali sulla politica tunisina, e perché il parlamento
non possa essere considerato la componente centrale del sistema
politico in Tunisia.
A parte le singole reazioni dei partiti e dei sindacati
alle decisioni di Saied Hammami spiega che "bisogna distinguere
tra élite e masse. Le élite, interessate alle vittorie politiche
e spinte da posizioni ideologiche, vorrebbero vedere una
"correzione del percorso rivoluzionario" o una spinta più
radicale verso l'eliminazione o lo sradicamento del sistema
dalle sue radici. Altri invece erano e sono più interessati a
sbarazzarsi di Ennahda, come i membri di Al-Chaab, riproducendo
ancora l'eterno conflitto tra Fratelli Musulmani e Nasseristi.
Le masse, tuttavia, non agiscono necessariamente sulla base di
una posizione ideologica relativamente coerente. La loro
reazione è un'espressione del loro risentimento e sofferenza.
Hanno reagito a partire dalla loro posizione sociale e per come
si sentono, non a causa del fallimento del parlamento o delle
politiche economiche". "Non è il parlamento che disegna le
politiche economiche, e non è il parlamento che le attua o
distribuisce la ricchezza" sostiene il ricercatore. "Ma questo è
ciò che le persone sentono e pensano e ciò che viene loro detto.
Mi riferisco a quelle persone che il 25 luglio sono scese in
piazza e hanno chiesto lo scioglimento del parlamento, hanno
attaccato gli uffici di Ennahda e espresso il loro malcontento
nei confronti dei partiti politici e di quello che considerano
un parlamento non rappresentativo. Lo vedono come "il sistema".
Ma non è il sistema. È solo una parte di esso. In effetti,
inquadrare il sistema politico tunisino come un sistema
parlamentare è un'esagerazione perché il parlamento non redige
leggi né ritiene responsabile il governo", sostiene ancora il
ricercatore, minimizzando il ruolo del Parlamento.
Dopo il 25 luglio, secondo Hammami, Saied avrebbe potuto
riattivare le leggi già esistenti sulla confisca dei beni delle
persone che beneficiavano dei loro legami con la famiglia del
defunto dittatore Ben Ali, o confiscare le banche che si erano
sviluppate sotto il suo regime sulla base del legame dei loro
proprietari con il regime stesso, compresi grandi gruppo come la
Biat, una delle banche più potenti della Tunisia, di proprietà
dei suoceri di Ben Ali. Invece, Saïed ha insistito sul fatto che
non ci saranno confische. Quindi non sta smantellando il sistema
né impedendo la fuga di capitali o spingendo per l'arresto di
uomini d'affari corrotti". "Saied non ha agito prontamente"
secondo il ricercatore. "C'è stato un momento critico in cui il
supporto per lui era al culmine durante il quale avrebbe potuto
fare le cose. Ma ora, lo slancio potrebbe essere perso e livello
di incertezza è molto alto. E alle élite politiche non piace
l'incertezza. Potrebbe attirare il sostegno di correnti e
attivisti più radicali che sono più disposti a correre dei
rischi. Ma non ottenere il supporto di istituzioni chiave come
il sindacato Ugtt con questo livello di incertezza. Inoltre,
Saïed si è allineato con alcuni regimi non progressisti, ad
esempio Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Bahrain, Egitto e
Algeria. Anche l'Ugtt si lamenta di questo. Sempre più
organizzazioni e partiti stanno diventando scettici su queste
posizioni. Anche le élite degli affari sono scettiche su Saïed a
causa della sua incoerenza. Ha inviato alcuni messaggi positivi,
ma Saied non ama le privatizzazioni e si oppone al libero
scambio con l'Ue. Vuole lavorare con loro, ma non sembrano
interessati. Anche le potenze occidentali non si fidano di lui".
"In effetti, la situazione attuale sembra non favorire alcun
cambiamento radicale" conclude Hammami sottolineando come "il
neoliberismo è ancora egemonico; la sinistra tunisina è
estremamente debole e non ha una narrazione coerente". "Anche la
sinistra non ha alternative al presente e non c'è massa critica
alle spalle per favorire un cambiamento radicale. Per dirla con
le parole di Antonio Gramsci: è troppo presto perché la sinistra
passi da una guerra di posizione a una guerra di manovra",
puntualizza Hammami. (ANSAmed) (ANSA).
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Tunisia: ricercatore, dubbi che Saied porti un cambiamento
Saied Hammami presidente non soddisferà istanze popolari