(ANSAmed) - ROMA, 26 LUG - Era il 17 dicembre del 2010 quando
un giovane venditore ambulante di frutta tunisino, Mohamed
Bouazizi, si dette fuoco davanti alla sede del governatorato di
Sidi Bouzid per protestare contro l'ingiusto sequestro della sua
merce da parte delle autorità. Un gesto clamoroso che innescò in
tutta la Tunisia quella che venne definita la Rivoluzione dei
Gelsomini. In breve tempo la rivolta si diffuse come per un
effetto domino anche in molti altri paesi del Nord Africa e del
Medio Oriente, in particolare Algeria, Egitto, Libia, Siria,
Yemen, accendendo le speranze di una vera Primavera Araba.
A distanza di dieci anni, solo la Tunisia ha potuto affermare
di essere riuscita a proseguire sulla strada della democrazia.
Almeno fino al 25 luglio. Gli eventi segnano una grave battuta
d'arresto in una marcia che all'inizio aveva in poche settimane
portato, il 14 gennaio 2011, al rovesciamento del dittatore Zine
el Abidine Ben Ali, rimasto al potere dal 1987, dopo aver
spodestato Habib Bourghiba con un colpo di Stato. Da allora, Ben
Ali, rifugiatosi in Arabia Saudita, ha subito numerose condanne
in contumacia fra cui l'ergastolo per la morte di alcuni
manifestanti, ed è poi morto nel 2019 in una clinica di Gedda.
L'elezione nell'ottobre del 2011 di un'assemblea costituente
porta al potere i partiti che si erano opposti a Ben Ali, in
particolare Ennahda, partito islamico moderato, che ottiene il
37% dei voti e 89 seggi, e del Congresso per la Repubblica,
partito laico riformista, che ottiene l'8,7% dei voti e 29
seggi. Ma soprattutto conduce all'entrata in vigore il 26
gennaio 2014 di una nuova Costituzione, che introduce nel Paese
per la prima volta garanzie di uguaglianza e libertà, compresa
quella di parola, e stabilisce la divisione del potere esecutivo
tra il presidente, il primo ministro e il presidente del
Parlamento.
La nuova Carta produce però anche una grave instabilità, che
porterà a formare e affondare una lunga serie di nuovi governi,
al ritmo di uno all'anno. E che ora ha portato allo scontro tra
il primo ministro Hichem Mechichi e il presidente del Parlamento
Riad Gannouchi con il presidente Kais Saied, un professore di
diritto costituzionale eletto nell'ottobre 2019 come
indipendente con il 72 per cento dei voti, sulla base di un
programma anti-corruzione.
Uno scontro nato sull'onda di un malcontento diffuso, dovuto ad
una disoccupazione che vede un terzo dei giovani senza lavoro e
un'economia ora più in crisi che mai anche a causa della
pandemia. Frattanto, è cresciuto il disincanto nei confronti
della politica, testimoniata dal costante calo dell'affluenza
alle urne.
Nel corso delle ultime sette consultazioni, la partecipazione
è scesa da un massimo del 68% nel 2014 al 42% nel 2019. Ed è
forse testimoniata anche dalle scene di giubilo nelle strade di
Tunisi in seguito all'annuncio da parte di Saied di quella che
appare come una svolta autoritaria. L'unica storia di successo
della Primavera Araba rischia di finire qui. (ANSAmed).
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Tunisia, 10 anni di fragile democrazia dopo Ben Ali
Ma finora la Rivoluzione dei Gelsomini era l'unica riuscita