(ANSAmed) - IL CAIRO, 19 MAG - Fra le potenze mondiali e
regionali coinvolte nella crisi libica, la Cina è spesso poco
considerata perché non sta scaricando sul suolo libico frotte di
mercenari o mobilitando droni per raid aerei come fanno Emirati
arabi uniti, Turchia e Russia. Pechino però sta "costantemente
investendo" a livello economico "ed esercitando un'influenza in
modi che promuovono l'integrazione della Libia fra le ambizioni
globali della Cina". Lo segnala un articolo pubblicato del
"Carnegie Endowment for International Peace", un think-tank di
spicco statunitense.
Quando scoppiò la protesta contro il regime di Muammar
Gheddafi nel 2011, Pechino si astenne nel voto al Consiglio di
sicurezza che autorizzò l'intervento militare il quale ha aperto
la crisi ancora in corso, ricorda il sito dell'organizzazione
che pubblica "Foreign Policy", una delle riviste di politica ed
economia internazionale più lette al mondo.
Si trattò di una posizione che, oltre a contrastare
l'influenza statunitense, fu un riflesso "della sua calcolata
neutralità in Libia", scrivono due analisti dell'Endowment
notando che il coinvolgimento della superpotenza asiatica "si è
focalizzato sulla penetrazione economica, la sua più forte linea
di influenza, e la diplomazia dietro le quinte".
Già sotto il regime di Gheddafi la Cina si era impegnata
nella costruzione di varie infrastrutture: nel 2011 Pechino
aveva 75 società che sviluppavano 18,8 miliardi di dollari di
affari in Libia attraverso 36 mila dipendenti impegnati in circa
50 progetti fra l'altro di edilizia abitativa, ferrovie,
telecomunicazioni e idroelettrico.
Ora ufficialmente la Cina appoggia il governo di Accordo
nazionale del premier Fayez al-Sarraj e suoi diplomatici hanno
incontrato esponenti dell'esecutivo di Tripoli nove volte tra il
2016 e quest'anno: si è svolta anche una bilaterale esteri fra
Mohamed Siala e Wang Yi a margine del Forum di cooperazione
Cina-Africa (Foocac) di metà 2018 con firma di un memorandum
d'intesa per inserire la Libia nella nuova Via della seta, la
strategica iniziativa della Repubblica Popolare Cinese per il
miglioramento dei suoi collegamenti commerciali con i paesi
nell'Eurasia.
Già l'anno dopo il commercio bilaterale fra i due Paesi è
schizzato a 6,21 miliardi di dollari con un aumento annuo del
160% trainato soprattutto dall'export petrolifero libico.
Gli analisti Carnagie prevedono però che se il generale
Khalifa Haftar dovesse dotarsi di conti in valuta pregiata o
imporsi altrimenti a livello finanziario sul governo di Tripoli
la Cina "probabilmente rafforzare le proprie relazioni" con
l'uomo forte della Cirenaica con il quale peraltro "si è
lasciata canali aperti". Ne è prova l'accordo del 2016 per
consentire a imprese statali cinesi di finanziare progetti di
sviluppo del governo dell'est della Libia guidato dal premier
Abdullah al-Thinni. (ANSAmed).
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La Cina in Libia, investimenti e neutralità
Think tank, Pechino non manda droni ma ha Tripoli nella sua rete