(di Stefano Polli)
ROMA - Serve urgentemente una bussola per tracciare la rotta
dell'occidente, degli Stati Uniti e dell'Europa di fronte al
disfacimento del Medio Oriente.
L'attacco missilistico lanciato contro la Siria da Usa, Gran
Bretagna e Francia non si appoggia, infatti, su una politica
estera chiara e riconoscibile verso quest'area del mondo. E'
sicuramente comprensibile e più che giustificata la volontà di
punire Assad per i suoi terrificanti crimini contro civili,
donne e bambini (si può eventualmente discutere sul come farlo),
ma l'attacco, al di là delle possibili conseguenze militari, da
un lato non è il punto d'arrivo di un identificabile percorso
diplomatico e, dall'altro, non consente di immaginare le future
posizioni verso la Siria, la Russia e l'Iran.
Questi tre ultimi Paesi hanno avuto una loro politica estera
in Siria, certamente condannabile se non altro per le ripetute
violazioni dei più semplici diritti umani. Tra il lancio dei
missili e le reiterate intenzioni di disimpegno è invece molto
difficile capire quale siano gli interessi di Usa e Europa in
Medio Oriente. Banalmente ci si potrebbe chiedere perché l'uso
delle armi chimiche tocchi tanto le coscienze dei leader
occidentali, mentre le uccisioni di massa, le violazioni
sistematiche dei diritti umani, le violenze e gli stupri
quotidiani non meritino una qualsiasi 'linea rossa'.
I lanci degli alleati somigliano molto a quelli dello scorso
anno, successivi a un altro attacco chimico da parte di Damasco.
Non sembra che Assad sia rimasto molto spaventato. Al contrario,
appoggiato da Russia e Iran, ha riconquistato terreno in questi
ultimi mesi ergendosi addirittura, in maniera surreale, a
vincitore della lotta contro il terrorismo. E ha usato
nuovamente i gas. Certo Washington e Parigi dovrebbero mostrare
le prove inconfutabili sull'uso delle armi chimiche che dicono
di avere. Eviterebbero nuove polemiche e i riferimenti alle
provette di Colin Powell all'Onu sulle armi chimiche irachene,
mai trovate in Iraq.
Una regola di base della geopolitica racconta che i vuoti
diplomatici vengono velocemente riempiti. E' quello che sta
accadendo in Siria. La Russia ha riconquistato il suo ruolo
politico e militare, Assad ha avuto il tempo di riprendersi a un
passo dalla sconfitta, l'Iran ha raggiunto gli obiettivi che si
poneva da decenni e installazioni militari di Teheran sono
adesso a un soffio dal confine israeliano. Nel frattempo Trump
ha continuato a parlare di disimpegno Usa e ha detto di voler
riportare a casa i circa 2000 militari Usa che hanno appoggiato
le milizie curde in Siria. Trump non è Bush, non vuole
'esportare la democrazia', è un esponente della destra
isolazionista e ritiene che gli Usa non possano e non debbano
risolvere i problemi del mondo. E mentre bombarda in Siria
continua a pensare a un vertice con Putin e, d'altra parte, il
lancio di missili è stato accuratamente anticipato ai russi per
evitare incidenti di qualsiasi tipo.
L'Unione europea è ancora più indietro, incapace di costruire
una vera politica estera comune e un'identità di difesa reale. I
grandi Paesi europei, come Gb e Francia, vanno avanti per conto
loro, con le loro politiche nazionali e i loro eserciti. Eppure
l'Europa dovrebbe essere interessata a un'area del mondo che ci
rimanda a casa i nostri foreign fighter e produce milioni di
persone disperate che cercano una nuovo posto dove rifarsi una
vita. Occuparsi di tutto questo vuol dire avere una politica
definita, fatta di presenza e di visione, di dialogo e pressioni
diplomatiche, di forza militare e di diplomazia. Con obiettivi
chiari e condivisi. Non sembra, purtroppo, che dietro al lancio
di missili ci sia tutto questo. Almeno per ora.(ANSAmed).
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Siria: attacco al buio, senza una politica estera
L'Occidente senza una bussola, tra missili e disimpegno