(di Cristoforo Spinella)
ISTANBUL - Vladimir Putin si prende il Medio Oriente. Da Assad a
Sisi fino a Erdogan, lo zar lancia un asse con i leader del
mondo islamico sulle crisi regionali. Un tour de force
diplomatico che dal mattino alla sera lo porta in Siria ad
annunciare a fianco di Assad il ritiro delle truppe russe, al
Cairo per rinsaldare i rapporti con il Paese più popoloso e
l'esercito più grande del mondo arabo e infine a cena dal
Sultano, dove benedice la campagna anti-Trump su Gerusalemme
alla vigilia del summit dei Paesi islamici di mercoledì a
Istanbul.
La giornata campale del leader del Cremlino parte con una
sosta a sorpresa. Sulla via per l'Egitto, il suo Tupolev Tu-214
fa scalo nella base di Hmeimim, nella provincia di Latakia,
fulcro delle operazioni militari di Mosca in Siria.
È da lì che, tra sorrisi e strette di mano con Assad,
ringrazia i suoi soldati e annuncia - giusto in tempo per la
campagna per le presidenziali di marzo - l'avvio del ritiro di
"una parte considerevole del contingente russo" che ha compiuto
le missioni di spazzare via l'Isis e mantenere al potere il
regime di Damasco.
Una riorganizzazione dopo oltre due anni di conflitto, perché
in Siria è arrivato il momento di una "soluzione politica sotto
l'egida dell'Onu", ma non certo di un disimpegno: "Se i
terroristi rialzeranno la testa, condurremo contro di loro dei
raid come non ne hanno mai visti", promette.
Al Cairo, il generale Abdel Fattah al Sisi lo riceve già
sulla scaletta dell'aereo. Un benvenuto "all'amico presidente"
che porta con sé accordi miliardari, dall'industria al commercio
alla cooperazione militare. Su tutti, quello per la costruzione
della prima centrale nucleare egiziana a Dabaa, sul
Mediterraneo. Putin apre anche a un ritorno dei voli civili
russi, cruciale per il turismo locale, che mancano
dall'attentato al charter russo sul Sinai nel 2015.
"L'Egitto è il nostro antico partner sul quale facciamo
affidamento in Medio Oriente", assicura Putin, che si dice
pronto a collaborare col Cairo anche per "garantire stabilità e
sicurezza in Libia". Quando è già sera, lo zar sbarca ad Ankara
per una visita last-minute chiesta venerdì da Erdogan. Nel terzo
faccia a faccia in un mese, i due leader cementano un'intesa
"ogni giorno più forte" sul piano commerciale ed energetico -
anche qui, c'è la prima centrale nucleare locale da costruire ad
Akkuyu, sul Mediterraneo - e gettano le basi per un accordo
sulla composizione del Congresso nazionale siriano, che sarà al
centro del nuovo round di colloqui tripartiti con l'Iran la
prossima settimana ad Astana e di un ulteriore incontro tra i
leader a Sochi. La resistenza turca riguarda sempre la presenza
dei curdi al tavolo delle trattative: un imperativo strategico
che oggi - digerita da Erdogan la permanenza pro-tempore di
Assad - segna la distanza maggiore tra Ankara e Mosca.
Forte anche l'intesa su Gerusalemme. La scelta di Trump è
"destabilizzante" e "non aiuterà a risolvere la situazione",
anzi "provocherà conflitti", dice Putin. Musica per le orecchie
del Sultano, che sulla difesa dei palestinesi sta fondando il
suo rilancio come paladino del mondo musulmano. I rapporti con
Israele - ricuciti formalmente solo l'anno scorso - sono
precipitati, con scambi di accuse violentissimi con Netanyahu.
"Gli Stati Uniti sono diventati un partner negli spargimenti di
sangue" di Israele, ha tuonato ancora oggi Erdogan.
Dopo il summit del Cairo di Sisi con il re giordano Abdallah
e Abu Mazen, il leader di Ankara continua a tessere la tela in
vista del vertice dell'Organizzazione della cooperazione
islamica a Istanbul, che, promette, sarà "un punto di svolta".
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Putin si prende il Medio Oriente, asse leader anti-Trump
Lo zar vede Assad, Sisi e Erdogan:'Usa sbagliano su Gerusalemme'