(di Rodolfo Calò)
(ANSAmed) - IL CAIRO, 15 GIU - Il parlamento del Cairo ha
detto sì all'accordo dell'anno scorso con cui il presidente
egiziano Abdel Fattah Al Sisi aveva in pratica ceduto all'Arabia
saudita, grande argentiere e sponsor del suo governo, due isole
sul Mar Rosso. L'approvazione a stragrande maggioranza da parte
dell'assemblea zeppa di sostenitori del presidente era scontato
e ora l'unico motivo di vero interesse è la reazione del paese
che rispetto ad un anno fa, quando ci furono notevoli proteste,
è sotto legge d'emergenza anti-terrorismo islamico e con una
pressione quasi asfissiante sui media d'opposizione o
indipendenti.
Nel torpore creato dal digiuno del Ramadan, nelle prime ore
dopo il voto non si sono imposte sui media segnalazioni di
disordini o arresti oltre agli otto eseguiti ieri per una
protesta non autorizzata alla sede del sindacato dei giornalisti
anche se la situazione potrebbe cambiare dopo l'iftar, la cena
che rompe il digiuno islamico. Meno di cento deputati su quasi
600 hanno fatto mettere agli atti la loro opposizione e ora si
attende solo la scontata ratifica da parte di Sisi.
L'accordo di una nuova demarcazione delle frontiere tra
l'Arabia saudita e l'Egitto firmato l'8 aprile 2016 aveva
sancito il passaggio a Riyad di Tiran e Sanafir, due isolotti
disabitati posti all'imboccatura del golfo di Aqaba: strategici
ai tempi dei conflitti con Israele, nel 1950 erano stati
affidati alle forze armate del Cairo che ora li ha restituiti
con un impegno saudita a farne piloni di un mega ponte che
unisca le due sponde del Mar Rosso e a svilupparne le attrattive
per i gitanti. Buone intenzioni che però sono annegate nelle
proteste dell'opposizione egiziana che ha fatto leva
sull'orgoglio nazionalistico per sostenere che si tratta di un
cedimento all'Arabia saudita e ai suoi petroldollari che aiutano
Sisi nel comune intento di tenere fuori gioco la Fratellanza
musulmana.
Gli appelli contro l'intesa, nella primavera dell'anno
scorso, ebbero gioco facile a creare quelle che vengono definite
come la più massicce manifestazioni di protesta mai inscenate da
quando Sisi (dal 2014) è al potere). Nelle tre settimane che
seguirono all'annuncio dell'accordo, secondo avvocati impegnati
nella difesa dei diritti umani, furono arrestate quasi 1.300
persone.
Allora però non erano però in vigore i rafforzati poteri
concessi a polizia e magistratura dallo stato di emergenza
instaurato per tre mesi ad aprile subito dopo gli attentati
kamikaze dell'Isis contro due chiese copte, quindi cristiane, a
Tanta ed Alessandria. Seguire l'andamento di proteste in Egitto
si è fatto più difficile a causa di una stretta in corso sul
panorama dei media attraverso la creazione di organismi di
controllo, cambio ai vertici di testate statali, oscuramento di
decine di siti di informazione senza spiegazioni ufficiali se
non vaghe e informali accuse di favoreggiamento del terrorismo.
Una situazione che hanno contribuito a creare sia la minaccia
dell'Isis sia la tendenza dichiaratamente eversiva della
Fratellanza musulmana messa al bando dopo la rivolta
nazional-militare che, sotto la guida proprio di Sisi, nel 2013
portò alla deposizione del presidente islamista Mohamed Morsi.
(ANSAmed).
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Egitto: parlamento approva passaggio isole ad Arabia Saudita
Sì a stragrande maggioranza, per ora senza proteste