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La propaganda ISIS e la guerra mediatica nel Medio Oriente

L'appello delle mamme saudite "Say no to terror"

Redazione Ansa

(di Nabila Zayati) (ANSAmed) - ROMA, 12 APR - Una stanza quasi buia dove tutto si tinge di grigio. Al suo interno una donna matura dal volto pallido e avvolto in un velo nero continua a fissare con occhi lacrimanti un video sul web di un giovane terrorista dell'ISIS.

Le mani della donna tremano premendo su quella sedia vuota dove una volta si metteva il figlio davanti al computer. Le sue lacrime continuano a scorrere irrefrenabili per dolore e per rimorso. Perché in quel momento, in quel video, il terrorista è suo figlio. Lo spot pubblicitario si conclude con l'apparizione della scritta "meglio controllare prima, che piangere dopo".

Questa campagna mediatica è solo una parte del piano di comunicazione di sensibilizzazione dell'organizzazione saudita "Say no to terror" per combattere contro il terrorismo. Il suo messaggio principale come è pubblicato sul suo sito web è " Io sono musulmano, io sono contro il terrorismo".

Il regno dell'Arabia Saudita non è l'unico paese musulmano a mettere in piedi una campagna volta a dissuadere i giovani dall'andare a combattere con i terroristi. Ci sono altre campagne precedenti nel tempo come quella nata in Iraq nel 2004 col titolo " Terror has no religion" e altre più recenti come quella della Tunisia che adotta lo slogan "Non vive in Tunisia chi la tradisce". In questo ultimo caso, non è il governo a promuoverla ma un ente privato, l'Utica, l'Unione Tunisina dell'Industria, del Commercio e dell'Artigianato. Nello spot vediamo quasi tutte le categorie dei professionisti tunisini che testimoniano la loro volontà e fermezza di proteggere gli interessi del paese e ognuno secondo le proprie competenze e capacità professionali. Non mancano le campagne europei e americane come ad esempio la campagna francese "Stop-djihadisme" lanciata su tutte le tv francesi dopo le attentati di Charlie Hebdo dello scorso anno. Una serie di spot, che durano circa 1 minuto e 30 ciascuno, con testimonianze dei familiari di persone partite per la jihad e che raccontano la loro sofferenza nel tentativo di far desistere altri giovani.

Molti analisti ritengono che per bloccare l'avanzata dell'ISIS si debba combattere e vincere una guerra che non si svolge solo sul campo di battaglia, ma anche online, sui media e sui social media. Una tesi confermata dalla nuova task force anti-terrorismo del dipartimento della sicurezza nazionale statunitense che adotta strumenti più mirati, coinvolgendo in prima linea le diverse società di tecnologia online della Silicon Valley.

Negli ultimi due mesi, decine di nuove campagne si sono aggiunte a quelle esistenti. La più incisiva in termini di "like" e "follower" è la campagna britannica "Exmuslim because" guidata e messa in atto dal consiglio britannico degli ex-musulmani. L'obiettivo, come il suo nome lo testimonia, non mira esattamente al terrorismo dell'ISIS ma tende ad incoraggiare i giovani musulmani e soprattutto figli di immigrati di seconda e terza generazione a rinunciare all'Islam.

Il loro motto è molto semplice "condividi con noi le motivazioni per la quale hai rinunciato all'Islam".

Ma nonostante la guerra mediatica, la comunità internazionale sembra distratta dai mille e diversi interessi nel Medio Oriente, a tutto vantaggio degli estremisti dell'Isis. Lo scambio di accuse di supporto al terrorismo nella Regione tra Stati Uniti e Arabia saudita è solo un esempio. In questo scenario poco incoraggiante, la campagna mediatica di 'Say no to terror', rivolta a sensibilizzare le mamme dei jihadisti per controllare i figli, sembra la più realistica e ragionevole. Sostenuta anche dall'associazione tedesca Girds (German Institute on Radicalization and Deradicalization Studies), sembra che l'ultima speranza rimasta in fronte al fallimento del linguaggio del cervello sia la ragione del cuore.

(ANSAmed).

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