(di Francesco Cerri)
(ANSAmed) - MADRID, 8 SET - Dopo quattro anni di guerra,
250mila morti, infiniti assassinii, stupri, torture e altre
atrocità da parte degli uomini del 'califfo' al Baghdadi, con
decine di migliaia di profughi in arrivo in Europa, è giunto il
momento di cambiare strategia e di parlare con Bashar a Assad?
Molti analisti lo pensano, l'idea è maneggiata con
precauzione in diverse cancellerie occidentali, e i governi di
Madrid e Vienna ora escono allo scoperto e lo affermano
apertamente. A Teheran il ministro degli esteri spagnolo José
Manuel Garcia Margallo ha detto senza mezzi termini che "è
giunto il momento di avviare negoziati con il regime di Bashar
al Assad". Gli ha fatto eco da Dubai il collega austriaco
Sebastian Kurz: "abbiamo bisogno di un approccio prammatico che
includa il coinvolgimento di Assad nella lotta contro il terrore
Isis". E, ha aggiunto, vanno coinvolti anche Russia e Iran, le
due potenze che appoggiano Assad. Madrid e Vienna rompono cosi
il tabu' della demonizzazione del presidente siriano con il
quale l'Occidente, spinto dal 'asse sunnita' Turchia-Arabia
Saudita-Qatar - ha rotto i ponti da quattro anni. Sull'onda
delle 'primavere arabe' Assad - prometteva l'ex-amico del rais
Recep Tayyip Erdogan, allora premier e oggi presidente islamico
turco - sarebbe caduto rapidamente, rovesciato dai ribelli
'democratici' sunniti, presentati come eredi dei manifestanti
per la libertà di Damasco.
Il progetto di Ankara, Doha e Ryad era di sostituirlo con un
governo islamico sunnita dei Fratelli Musulmani. Ma le cose sono
andate diversamente. Il regime autoritario dell'alevita Assad
non è caduto, mantenendo anzi dosi di consenso interno in
particolare fra le minoranze (sciiti, aleviti, cristiani,
yazidi). E i ribelli 'democratici' sono confluiti per lo più nei
gruppi jihadisti, in primis Isis e Al Nusra-Al Qaida.
L'espansione del 'califfato', con le sue atrocità, è
diventata una minaccia esistenziale non solo per Siria e Iraq,
ma per tutto il Medio Oriente, dalla Turchia allo Yemen, per il
Nord Africa, dalla Libia al Mali, e ora per l'Europa. Il rischio
attentati è alto, senza parlare degli effetti destabilizzanti
dell'esodo biblico di decine di migliaia di disperati. "Scappano
non dal regime di Assad ma dalle atrocità dell'Isis" rileva
Vladimir Putin. Per gli Usa che da un anno bombardano i
jihadisti in Iraq e Siria il nemico già non è più Assad ma Al
Baghdadi. A lungo accusati di aiutare i jihadisti, anche Turchia
e Arabia Saudita, ora minacciate dall'Isis, hanno aderito alla
Coalizione. E la crisi dei rifugiati spinge Parigi e Londra a
prevedere bombardamenti anti-Isis in Siria, che finora
escludevano per non puntellare il regime. "La questione della
partenza di Assad sarà posta prima o poi", ha glissato ieri
Francois Hollande. Putin afferma che il rais è pronto a fare
concessioni, ad aprire il governo "all'opposizione sana", cioè
non jihadista, a indire elezioni. "L'accordo nucleare con
Teheran, avverte il ministro degli esteri svizzero Didier
Burkhalter, sta cambiando radicalmente la partita". L'Iran è
ridiventato un interlocutore chiave, e con il peso di un enorme
mercato per l'Occidente. Ma se una trattativa di pace sembra
possibile con Damasco, i precedenti tentativi hanno dimostrato
che con l'Isis è impossibile, e impensabile. Una soluzione
militare - e la distruzione del 'califfato' - ha bisogno di
tutti: degli aerei della Coalizione, delle milizie curde e
sciite, le sole che per ora combattano a terra contro i
jihadisti ... con l'esercito di Damasco. "Non possiamo
dimenticare i crimini di Assad, rileva Kurz, ma neanche che in
questa guerra siamo dalla stessa parte". (ANSAmed).
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Siria: Madrid e Vienna rompono tabù, dialogo con Assad
Isis e esodo rifugiati impongono ripensamento strategia