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L'Europa, la deflazione e i foreign fighters

Manca visione comune su come reagire a sfida

Redazione Ansa

(di Stefano Polli) (ANSAmed) - ROMA, 8 GEN - L'Europa colpita al cuore fa qualche fatica a reagire con voce univoca e forte ai dodici morti di Parigi e all'attacco a uno dei principi civili che sono alla base della sua costruzione, la libertà di stampa, di pensiero e di espressione.

La condanna e la solidarietà verso la Francia ci sono. Nei modi e negli accenti giusti. Ma quello che manca è una comune visione di cosa fare di fronte a quello che molti analisti hanno definito "l'undici settembre" europeo o considerato una "dichiarazione di guerra" da parte del terrorismo islamico (Isis o Al Qaida cambia poco) sul territorio del vecchio continente.

E, d'altra parte, la mancanza di una comune politica estera e di un atteggiamento condiviso nei grandi dossier internazionali è stato, e continua a essere, il vero tallone d'Achille di un'Unione europea che non dimostra nessuna volontà di crescere come attore globale in un mondo che cambia molto velocemente e che, molto velocemente, presenta nuovi problemi e nuovi equilibri al mondo globalizzato.

Ieri, nel giorno dell'assalto a Charlie Hebdo, l'Ue ha avuto la notizia ufficiale dell'arrivo della deflazione nell'Eurozona.

Una notizia che ha rilanciato le polemiche sulla dottrina economica basata sull'austerità e il rigore e sulla necessità di virare con forza verso politiche di crescita e investimenti.

In questi ultimi anni, e soprattutto in questi ultimi mesi, i Paesi dell'Ue hanno passato il loro tempo a litigare sui decimali delle percentuali intorno al totem del 3 per cento del rapporto tra Pil e deficit o sui tempi e le modalità di rientro dal debito in eccesso.

E' stata ed è un'Europa ripiegata su se stessa, sui propri problemi interni e piuttosto litigiosa, mentre non lontano dai suoi confini le ex primavere arabe creavano nuove situazioni, nuovi problemi, nuove guerre ed anche un nuovo Califfato islamico con un suo territorio, suoi pozzi di petrolio e un suo esercito. E mentre molti suoi giovani partivano per una Jihad dichiarata dal leader dell'Isis Al Baghdadi. Sono chiamati foreign fighters, ma sono in realtà cittadini europei pronti a tornare a casa per proseguire la loro "guerra".

L'Ue non è riuscita - ma in questo anche gli Usa non si sono distinti particolarmente - a concepire una strategia politica concreta ed efficace mentre quella militare, fatta sostanzialmente di aiuti mandati a chi combatte sul terreno l'Isis, si è rivelata insufficiente.

È il momento di comprendere pienamente che l'Europa ha bisogno di una politica comune contro il terrorismo, per gestire l'immigrazione illegale e per il controllo di coloro che dalla guerra siriana e irachena tornano a casa.

Dopo gli attentati alle stazioni di Madrid (2003) e alle metropolitane di Londra (2005) l'Ue aveva fatto molte promesse, mantenute soltanto in piccola parte.

È difficile aspettarsi un salto di qualità e un colpo di reni da un'Europa che non riesce a mettersi d'accordo sul debito della Grecia, ma l'impressione è che non ci sia altra scelta.

Dire "Je suis Charlie" è bello e doveroso. Ma poi devono inevitabilmente seguire i fatti.

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