(di Stefania De Francesco)
(ANSAmed) - ROMA, 30 NOV - E' uno scenario in chiaro-scuro e
molto complesso quello dei Paesi che trattano per raggiungere un
accordo sul clima. In grandi linee si possono dividere in tre
blocchi: paesi industrializzati, paesi in via di sviluppo e
paesi emergenti. Ma a differenza dei tempi del protocollo di
Kyoto nel 1997, l'economia e la politica sono cambiate.
Nel rush finale che si sta compiendo a Parigi verso un patto
con l'obiettivo di contenere l'aumento della temperatura media
globale fra 1,5 e 2 gradi ciascuno va per la propria strada con
indicazioni diverse sul contenimento dei gas serra. Seguendo non
solo logiche ambientaliste.
Fra i grandi inquinatori, gli Stati Uniti con Obama per la
prima volta non sollevano problemi, anzi, vogliono trainare i
negoziati. Ci sono invece posizioni diverse fra i Paesi
emergenti del gruppo Basic (Brasile, Sud Africa, India e Cina)
mentre fanno vero blocco i Paesi del Cvf (Climate vulnerable
Forum), quelli più a rischio a causa dei cambiamenti climatici
che temono di 'affogare', letteralmente, sommersi
dall'innalzamento degli oceani. La Russia per la prima volta
sembra non mettersi di traverso, alle prese piuttosto con
questioni internazionali, mentre chi questa volta potrebbe
vestire i panni del 'guastatore' possono essere i paesi che
producono petrolio, in particolare Arabia Saudita e Venezuela.
USA - Obama vuole guidare il cambiamento, ammettendo il ruolo
degli Stati Uniti nell'aver creato il problema. Conta sul fatto
che l'accordo quadro sarà un 'executive agreement', cioè un
accordo in applicazione della Convenzione quadro delle nazioni
Unite sul clima di Rio del 1992, che fu un trattato
internazionale. Essendo stato quest'ultimo già sottoscritto dal
Senato americano, per il 'Paris agreement' non occorrerebbe il
voto del Senato (che sarebbe negativo) ma solo la ratifica di
Obama.
BASIC - Brasile e Sud Africa sono alle prese con problemi
interni rispettivamente di ordine politico ed economico e vedono
questa occasione per rilanciare la propria economia puntando su
aiuti da parte dei Paesi industrializzati. Sulle emissioni di
CO2, invece, Cina e India hanno posizioni diverse. La Cina,
primo grande inquinatore e alle prese con livelli record di
smog, 'da rischio sopravvivenza', vuole riconvertire la propria
economia. Ha versato l'equivalente di tre miliardi di dollari in
un fondo per la cooperazione con i Paesi del sud del mondo, per
aiutarli nell'uso di energie pulite. Punta ad andare, quindi, in
scia a Usa e Ue, anche se i suoi impegni di riduzione di gas
serra slittano al 2030. L'India, invece, terzo grande
inquinatore al mondo, è più recalcitrante. E' disposta ad un
piano di riduzione di emissioni ambizioso in proporzione agli
aiuti economici che potrà ricevere.
CVF - I Paesi del Sud del mondo, dalle Filippine alle
Maldive, che sono più vittime che protagonisti
dell'inquinamento, vogliono essere risarciti dei danni che hanno
subito a causa soprattutto di inondazioni e sono disposti a
produrre energia green. A condizione di avere aiuti economici.
Il loro potere nei negoziati è in un centinaio di voti che
possono muovere nella votazione sull'accordo.
Infine, un ostacolo nei negoziati potrebbe essere
rappresentato dai big del petrolio, Venezuela e Arabia Saudita
in primis, che ne risentirebbero dalla prospettiva di
un'economia senza combustibili fossili. (ANSAmed).
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Clima: blocchi contrapposti su riduzione emissioni
Grandi inquinatori e Paesi sud del mondo si misurano su accordo