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La perla della Mesopotamia finisce sott'acqua

Una maxi diga cancella Hasankeyf, la città millenaria sul Tigri

Redazione Ansa

(di Cristoforo Spinella)
HANSANKEYF (SUD-EST DELLA TURCHIA) - "Basta Yusuf, vieni fuori. È ora di andare a casa". Alle otto della sera, quando sul fiume Tigri cala il tramonto e la temperatura segna ancora 35 gradi, il tempo sembra essersi fermato. Sotto le rovine dell'antico ponte di Hasankeyf, i bambini sguazzano nel corso d'acqua che insieme all'Eufrate ha tracciato nella Mesopotamia il cuore fertile del Medio Oriente. Ma adesso, il tempo per questa cittadina con 12 mila anni di storia sta per scadere.
La maxi-diga di Ilisu, nel sud-est della Turchia a maggioranza curda, è ormai pronta. Il riempimento del suo bacino è questione di settimane. Poi, Hasankeyf scomparirà con tutto il suo passato di dominazioni - assiri, persiani, romani, ottomani - sotto una sessantina di metri d'acqua. "Ci hanno detto che abbiamo un paio di mesi per trasferirci nella città che hanno costruito lassù", spiega all'ANSA Hasan accanto al suo carretto di gozleme, tipico pane turco ripieno, mentre indica la collina dall'altro lato del Tigri. L'inondazione costringerà al trasloco i tremila residenti di Hasankeyf - per lo più curdi, ma anche arabi - e quelli di altri 199 villaggi della valle circostante.
Molti andranno in questa new town che oggi sembra il set di un film distopico: villette fatte in serie, enormi edifici pubblici e uno spazio per adagiare i monumenti sradicati e trasportati di peso, per lo sconcerto degli archeologi - la tomba di Zeynel Bey, la moschea di El-rizik con il minareto sul fiume, l'hamam Artuklu. Altri edifici sono stati sepolti sotto cumuli di pietre in vista della riemersione dell'area, tra una cinquantina d'anni. Tanto vivrà la diga. Avviato nel 2006 e costato oltre 1,3 miliardi di euro, il progetto di Ilisu ha subito diversi rallentamenti, anche per il ritiro dei finanziatori internazionali. Lo sbarramento conterrà fino a 10 miliardi di metri cubi d'acqua per produrre 1.200 megawatt di energia e rientra nel progetto di dighe e centrali idroelettriche del Sud-est dell'Anatolia (Gap), nato negli anni '60 e rilanciato dal governo di Recep Tayyip Erdogan.
"Quella che stanno distruggendo non è solo la nostra storia,
è anche la vostra, dell'Europa e del mondo intero", si sbraccia Ridvan Ayhan, mentre agile si aggira tra le grotte e i canyon che frequenta da sessant'anni, quando bambino veniva a giocarci.
Con altre ong, la sua Hasankeyf Yasatma Girisimi denuncia da anni un disastro annunciato, archeologico ma anche ambientale:
"L'ecosistema del Tigri verrebbe modificato in maniera irreversibile, con conseguenze difficili da calcolare". Più certo, dati alla mano, è l'impatto geopolitico: potenzialmente devastante, in una regione in cui l'acqua è una risorsa scarsa.
La vittima designata è l'Iraq, un centinaio di chilometri più a sud: malgrado la Turchia assicuri di non voler razionare i flussi, gli esperti stimano che la portata del Tigri si potrà ridurre fino all'80%. Ridvan dice di sperare ancora. 'Non è troppo tardi per Hasankeyf', recita lo slogan che sui social prova a tenere alta l'attenzione. Ma gli abitanti non ne sembrano convinti. E occhi al cielo, alzano le spalle:
"Inshallah".

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