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Il mondo si avvita in uno sviluppo insostenibile. Le condizioni per reagire

Redazione Ansa

di Donato Speroni       

Tra cent’anni gli storici potrebbero porsi una domanda analoga a quella che ci poniamo sugli inizi della Grande guerra del 1914 – 18: come è stata possibile tanta cecità? Come ha fatto il mondo a scivolare in un evento così catastrofico che nessuno al momento dell’attentato di Sarajevo, grave ma limitato, poteva immaginarsi?

L’interrogativo degli storici del futuro riguarderà la crisi climatica, che avrà conseguenze disastrose per tutta l’umanità. Con un’aggravante: mentre prima della Grande guerra i popoli ignoravano gli orrori e le conseguenze di un conflitto di quelle dimensioni, oggi siamo perfettamente in grado di valutare gli effetti della crisi a cui andiamo incontro.

Il Rapporto di sintesi dell’Ipcc, il panel di scienziati che per conto dell’Onu indaga sulla crisi climatica, non lascia infatti dubbi. Come spiega una presentazione sul sito dell’Onu:

"Il Synthesis report pubblicato lunedì 20 mette a fuoco le perdite e i danni già sperimentati e quelli che prevedibilmente continueranno in futuro, che stanno colpendo con maggiore forza le popolazioni più vulnerabili e gli ecosistemi. La temperatura è già aumentata di 1,1° gradi centigradi sui livelli preindustriali come conseguenza di più di un secolo di utilizzo dei combustibili fossili e anche dell’uso insostenibile e diseguale di suolo ed energia. Questo si è tradotto in fenomeni metereologici estremi più frequenti e intensi, che hanno causato effetti sempre più dannosi sulla natura e sulle persone in ogni parte del mondo. Con l’aumento delle temperature possiamo aspettarci che il cambiamento climatico provocherà maggiore insicurezza degli approvvigionamenti di cibo e acqua, con effetti ancora più difficili da gestire quando questi fenomeni vanno a sommarsi ad altre calamità come le pandemie e i conflitti".

Subito dopo la diffusione del Rapporto, il segretario generale dell’Onu António Guterres ha lanciato un appello video invitando ad agire su tutti i fronti. “Everything, everywehere, all at once” ha detto, parafrasando il titolo del film che ha fatto incetta di Oscar. La proposta di Guterres si impernia su un appello al G20, il gruppo dei Paesi più importanti e più industrializzati, per sottoscrivere subito un “Climate solidarity pact”, un patto di solidarietà sul clima che comprenda l’impegno dei Paesi più avanzati a raggiungere una produzione di elettricità completamente senza emissioni entro il 2035, con un limite al 2040 per il resto del mondo, ed uno stop immediato ai finanziamenti di nuovi impianti a carbone o petrolio e all’espansione delle riserve di fossili esistenti.

Questa settimana si è anche celebrata la Giornata mondiale dell’acqua, con tre giorni di convegno a New York, dopo quasi mezzo secolo che l’Onu non affrontava questo tema. Ha partecipato all’incontro il ministro italiano dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin che ha sottolineato il carattere di “grave emergenza planetaria” della carenza di acqua.

Non si può dire però che le cose vadano nel senso auspicato da Guterres e dalle riunioni internazionali. Come ha scritto Fernando Cotugno sul "Domani",

"La Sintesi è stata pubblicata mentre in Italia arrivava un nuovo rigassificatore, negli Stati uniti era stato approvato un nuovo immenso giacimento di petrolio in Alaska e in Cina sono in fase di approvazione 168 nuove centrali a carbone. Il mandato della scienza a questo punto sembra quasi una preghiera: le emissioni devono raggiungere un picco al massimo nel 2025, quasi dimezzarsi entro la fine di questo decennio e azzerarsi a partire dal 2050. Nel 2022 hanno continuato a crescere, più 0,9 rispetto all'anno precedente, raggiungendo il massimo storico di sempre: 39,8 Gigatonnellate".

La scienza lancia invocazioni, dall’Onu si sollecita un’azione comune, ma che fanno i leader mondiali? Si preoccupano. Ce lo dice il Risk report diffuso a Davos due mesi fa, intervistando oltre mille capi azienda, responsabili politici, alti esponenti della società civile. Tra i dieci rischi maggiormente temuti per il prossimo decennio, sei hanno a che fare direttamente con la crisi climatica. Nell’ordine: fallimento delle politiche di mitigazione e di adattamento, conseguenti disastri naturali, perdita di biodiversità, crisi delle risorse naturali ed estesi danni ambientali. Altri tre hanno a che fare con le conseguenze sociali che ne derivano: migrazioni involontarie su larga scala, erosione della coesione sociale e conflitti geopolitici. Insomma, a parte i rischi di una guerra cibernetica, tutto ciò che attiene alla crisi climatica e alle sue conseguenze sociali sembra essere in cima ai pensieri dei nostri leader. E allora perché si fa così poco?

Azzardo una risposta. In un mondo fortemente polarizzato, sia tra gli Stati, sia all’interno di essi, nessuno ha l’autorevolezza necessaria per elaborare soluzioni condivise, quando queste soluzioni comportano sacrifici e scelte collettive che non portano a un beneficio immediato, ma a garantire uno sviluppo sostenibile a vantaggio delle future generazioni. Anche quello che sta avvenendo in Francia, con la generalizzata protesta per un aumento dell’età pensionabile di soli due anni, da 62 a 64, cioè meno dell’età limite in Italia e in altri Paesi dell’Unione, è una conferma di questa difficoltà nel costruire un consenso popolare su scelte che comportano un sacrificio oggi per un vantaggio futuro. Viene in mente la famosa battuta di Groucho Marx:

"Perché dovrei preoccuparmi dei posteri? Cosa hanno fatto i posteri per me?"

Ma torniamo alla transizione ecologica. In questi giorni si ha l’impressione che anziché fare progressi, siano in aumento gli ostacoli all’abbattimento delle emissioni e alla costruzione di un mondo più sostenibile. L’ultima spallata arriva dall’Olanda, dove il BoerburgerBeweging (BBB), Movimento degli agricoltori – cittadini, ha vinto le elezioni locali su un programma basato sul rifiuto delle politiche ambientali. Come spiega la "Cnn":

"Il partito BBB è nato quattro anni fa in risposta alle proposte del governo per abbattere le emissioni di azoto. Il governo intendeva dimezzare le emissioni entro il 2030, intervenendo soprattutto sull’agroindustria per i suoi livelli di inquinamento che minacciano la biodiversità del Paese. Il BBB ha risposto combattendo il progetto di ridurre la quantità di bestiame e mettendo l’accento sui rischi che ne sarebbero derivati per la qualità della vita degli agricoltori."

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