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La società civile: orientare la campagna elettorale sui grandi temi del futuro

Redazione Ansa

di Donato Speroni

"La gente, in America, in Europa, in Italia, non vuole dubbi con la prima colazione. Il pubblico ama lo status quo. Vuole sentirsi dire che tutto è più o meno ok. La gente lavora tantissimo, in America. Si ammazza di lavoro. Non credo abbia tempo e voglia di pensare alla politica, all’ambiente, alla big picture. Non ha tempo e voglia di controllare le notizie. Ha bisogno di cose semplici e accessibili, la mente è affaticata dalla durezza della vita quotidiana."

Non è un politologo che parla, ma l’attrice Scarlett Johansson, in una intervista di Beppe Severgnini che il giornalista ha raccontato sul 'Corriere della Sera' a dodici anni di distanza. In quelle semplici frasi si rivela il germe della polarizzazione che ha avvelenato la politica americana e che ora minaccia anche l’Europa. Troppa gente è arroccata sulle sue convinzioni, riceve informazioni che la confermano nelle proprie idee (i social funzionano proprio così), ha poca voglia di confrontarsi con le tesi degli altri. Del resto, anche in televisione ogni politico compare da solo, con interlocutori più o meno a lui graditi (comunque con diritto di veto su quelli più sgraditi) e senza confronto diretto come avveniva nelle vecchie “Tribune politiche”. 

La situazione attuale è anche peggiorata rispetto a quella descritta dalla Johansson nel 2010: pandemia, incertezze dovute alla guerra, crisi economica, impoverimento della classe media, accentuano la sfiducia e la voglia di arroccarsi. Molti non vanno a votare, o se votano lo fanno guardando al proprio interesse immediato, accarezzati in questo orientamento anche dai discorsi di gran parte dei politici. 

Un dramma che minaccia le democrazie e il mondo. Per descrivere la situazione, il filosofo americano Noam Chomsky usa addirittura la metafora della rana bollita. Come l’animale che non reagisce se l’acqua nella pentola si riscalda gradualmente, così l’umanità è incapace di fare scelte adeguate per rispondere al graduale deterioramento del contesto globale. 

Eppure gli appelli si susseguono, le buone pratiche non mancano, l’Agenda 2030 delle Nazioni unite continua a indicare il complesso di interventi per affrontare i problemi. Anzi, l’Assemblea generale dell’Onu, il 28 luglio, ha riconosciuto che “vivere in un ambiente pulito, sano e sostenibile è un diritto universale”, facendo propria una precedente dichiarazione del Consiglio dei diritti umani. Ma è evidente che non si sta facendo abbastanza per dare forza a questo principio. 

Questa miopia affligge anche l’anomala e torrida campagna elettorale italiana. C’è chi cerca di reagire segnalando l’importanza di problemi apparentemente in secondo piano. Un gruppo di scienziati del clima ha scritto una lettera alla politica italiana in vista delle elezioni:

"Chiediamo con forza ai partiti politici di considerare la lotta alla crisi climatica come la base necessaria per ottenere uno sviluppo equo e sostenibile negli anni a venire. Questo dato di realtà risulta oggi imprescindibile, se vogliono davvero proporre una loro visione futura della società con delle possibilità di successo. 

In particolare, nella situazione attuale appare urgente porre in essere azioni di adattamento che rendano noi e i nostri territori più resilienti a ondate di calore, siccità, eventi estremi di precipitazioni violente, innalzamento del livello del mare e fenomeni bruschi di varia natura; azioni che non seguano una logica emergenziale ma di pianificazione e programmazione strutturale.

A causa dell’inerzia del clima, i fenomeni che vediamo oggi saranno inevitabili anche in futuro, e dunque dobbiamo gestirli con la messa in sicurezza dei territori e delle attività produttive, investendo con decisione e celerità le risorse peraltro disponibili del Pnrr. Allo stesso tempo, dobbiamo anche fare in modo che la situazione non si aggravi ulteriormente e diventi di fatto ingestibile, come avverrebbe negli scenari climatici peggiori. Per questo dobbiamo spingere fortemente sulla riduzione delle nostre emissioni di gas serra, decarbonizzando e rendendo circolare la nostra economia, accelerando il percorso verso la vera transizione energetica ed ecologica."

L’appello ha avuto l’appoggio del premio Nobel Giorgio Parisi, che in una intervista su Repubblica ha risposto alle domande di Luca Fraioli: 

"D. Pensa davvero che nella attuale situazione politica i partiti italiani possano mettere le questioni climatiche al centro del dibattito?

R. Dovrebbero farlo, fosse anche solo per una questione strategica. Per un Paese come l'Italia, che deve importare i combustibili fossili, che siano gas, carbone o petrolio, passare alle fonti rinnovabili renderebbe molto più stabile l'economia. E se si facesse davvero su grande scala l'efficientamento termico di tutte le abitazioni, a fronte di un grande investimento, si avrebbe un grande ritorno per l'economia e il lavoro. Per tutti questi motivi è importante che i partiti mettano in chiaro nei loro programmi quali sono i loro progetti per la lotta ai cambiamenti climatici, per andare verso le energie rinnovabili e un mondo meno inquinato. Ma è altrettanto importante che poi gli elettori usino queste informazioni per decidere chi votare. (...) I politici sempre più spesso hanno un orizzonte di pochi anni, quelli del loro mandato, non intraprendono azioni di lungo termine i cui risultati rischiano di essere inutili per la rielezione. E il clima è uno degli argomenti che ha pagato questa scarsa lungimiranza politica. Però è vero anche che finora gli elettori non si sono fatti molto sentire. Hanno votato anche loro in base ai propri interessi di breve periodo. Dunque la responsabilità è sia dei politici che degli elettori: se questi ultimi non fanno in modo che sia conveniente per i partiti fare una politica climatica, i politici non la attueranno certo in modo spontaneo."

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