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Delusione a Bonn, ma non possiamo permetterci il fallimento dei negoziati sul clima

Redazione Ansa

di Donato Speroni.         

"Bonn climate change conference makes progress in several technical areas, but much work remains".

“C’è ancora molto da fare, al di là di qualche progresso tecnico”: la frase ufficiale che riassume i risultati della Conferenza di Bonn conclusasi il 16 giugno ne rivela il sostanziale fallimento. Ci si aspettava molto da questo incontro, che doveva preparare gli accordi in vista della Cop 27 di Sharm el-Sheik di novembre, ma come riassume la cronaca pubblicata sul nostro sito, non ci sono stati progressi significativi e adesso si confida in qualche miracolo da parte della presidenza egiziana della prossima Conference of parties. 

La questione cruciale sembra essere quella dei soldi. I Paesi più industrializzati hanno una responsabilità storica perché con le loro emissioni hanno provocato buona parte dell’accumulo di gas climalteranti nell’atmosfera. A questo punto non basta che diventino virtuosi, accelerando sul risparmio energetico e sulla transizione alle fonti rinnovabili. Buona parte dell’aumento della domanda di energia dei prossimi anni proverrà dai Paesi meno ricchi, che ne hanno bisogno per crescere e chiedono di essere aiutati finanziariamente per poter ricorrere a fonti meno inquinanti ma generalmente più costose. 

A questo scopo fin dal 2009 era stata decisa la creazione di un "Green climate fund" di 100 miliardi di dollari all’anno, che avrebbe dovuto essere operativo dal 2020, ma che stenta a decollare e che probabilmente non basterà comunque, se si considerano anche le ingenti spese necessarie in molti Paesi per l’adattamento ai cambiamenti climatici. Si pensi alle tante aree del Sud del mondo, piccole isole ma non solo, che rischiano di essere sommerse dall’innalzamento dei mari e che richiedono trasferimenti di popolazione e ricostruzione di intere città, come sta già avvenendo per esempio a Giacarta, la capitale dell’Indonesia, definita dalla Bbc la città del mondo che affonda più rapidamente”, situazione che ha spinto il governo locale a decidere di cambiare capitale: ne verrà costruita un’altra da zero, sull’Isola del Borneo, che si chiamerà “Nusantara” (ovvero “arcipelago”). 

Perché non si riesce a mettersi d’accordo? Il clima di guerra creato dall’aggressione russa all’Ucraina non aiuta sicuramente, ma non è l’unica spiegazione. Per molti governi non è facile presentare ai propri elettorati la necessità di consistenti esborsi verso l’estero, a fronte di vantaggi che probabilmente si vedranno nella seconda metà del secolo, quando finalmente gli effetti di una efficace "mitigation" incideranno sulla crisi climatica. C’è la tentazione, semmai, di utilizzare i fondi per investimenti nel proprio Paese. Anche in Italia stiamo scoprendo la necessità di ingenti investimenti contro la siccità, che purtroppo non funesterà il nostro Paese solo in questa stagione caldissima, ma continuerà a essere una minaccia in agguato. Da anni sappiamo che le nostre reti idriche sono un colabrodo, ma abbiamo ignorato i segnali di allarme. Ora è probabile che le opere per utilizzare al meglio l’acqua potabile, non solo negli acquedotti ma anche con invasi ad hoc per impedirne la dispersione, assumano diversa priorità. 

C’è il rischio insomma che non solo la guerra, ma lo stesso aggravarsi della crisi climatica, faccia prevalere gli egoismi nazionali. Sul tema ha preso fermamente posizione il presidente della Repubblica Sergio Mattarellanel suo intervento alla seconda conferenza nazionale sulla Cooperazione allo sviluppo.

"La pandemia ha reso evidente che in un mondo interconnesso non esistono soluzioni locali a sfide globali come quelle delle emergenze sanitarie, dei cambiamenti climatici, della povertà estrema, dell’insicurezza alimentare.

Una riflessione sulle strategie presenti e future del nostro Paese nel campo della Cooperazione allo sviluppo deve esserne consapevole.

In altri termini, non è risolutiva l’attesa che un’iniziativa basata sulla destinazione verso i Paesi più fragili soltanto delle risorse considerate eccedenti dalle economie dei Paesi più sviluppati permetta di vincere le sfide.

La comunità internazionale deve saper assumere obiettivi condivisi e, intorno a essi, promuovere la tutela e l’affermazione dei beni globali.

Li abbiamo già richiamati: la vita, la salute, il clima, la prosperità contro la povertà".

Parole sacrosante, che si legano anche all’invito della viceministra degli Esteri Marina Sereni nel corso del nostro terzo ASviS live, per portare rapidamente l’impegno finanziario per la nostra cooperazione allo sviluppo allo 0,7 del Pil, come promesso da tempo. 

La resistenza ad agire adeguatamente contro la crisi climatica potrebbe però avere anche cause meno razionali. Lo dice, tra gli altri, il climatologo Luca Mercalli, che ha dichiarato di lavorare con gli psicologi per capire come mai c’è tanta resistenza ad affrontare un pericolo ormai così evidente. Sulla stessa linea il vicedirettore del settimanale tedesco "Zeit" Bernd Ulrich con Fritz Engel, che è suo figlio e un dottore in filosofia, in un articolo che è anche un saggio, “una sorta di manifesto critico di una nuova coscienza ecologista”, riassunto da Elena Tebano sulla "Rassegna stampa del Corriere della sera"

Ulrich ed Engel partono dalle “tre grandi umiliazioni” che l’umanità ha subito secondo Sigmund Freud: l’umiliazione “cosmologica” (Copernico: la Terra non è più il centro dell’universo), quella “biologica” (Darwin: l’uomo non è una eccezione nel regno animale) e quella “psicologica” (lo stesso Freud: gli esseri umani non sono pienamente razionali), per aggiungerne una quarta: “l’umiliazione ecologica” che si sostanzia nella scoperta che non possiamo più vivere e consumare come vogliamo. 

"L’umiliazione «ecologica» è forse più pesante di tutte le altre, perché per trarre appieno le conseguenze della crisi ambientale gli esseri umani — e in particolare quelli che abitano i Paesi ricchi dell’Occidente — dovrebbero mettere in discussione tutto il modo in cui stanno al mondo e concepiscono il loro stare al mondo. «Sotto la superficie, la quarta umiliazione ecologica ferisce l’essere umano in un modo che va al di là di quanto analizzato da Sigmund Freud cento anni fa. Mette in discussione tutto ciò che è motivo di orgoglio e di onore per l’uomo, mette un punto interrogativo su quasi tutte le narrazioni che l’uomo moderno ama diffondere su di sé. Dal corso della storia, al significato della propria vita, all’euforia della libertà individuale»". 

È difficile, secondo i due autori tedeschi, ammettere il danno che stiamo facendo alle nuove generazioni. 

"Tra gli assunti a cui dobbiamo rinunciare c’è l’idea che l’agire collettivo dell’umanità sia stato in definitiva un progresso e che in sostanza «il meglio deve ancora venire». Non è così: «Le azioni individuali non possono più sperare di essere in qualche modo parte di un progetto di incremento. Invece, sono sospettate di aver contribuito a un’enorme opera di distruzione. In questo modo, la crisi climatica diventa sempre più una sorta di teleologia negativa, il peggio deve ancora venire». Questo intacca anche il patto intergenerazionale, l’idea che i figli staranno meglio dei loro genitori che è alla base dei progetti di (quasi) tutti i padri e le madri. Oggi, affermano i due autori tedeschi, «per i figli è molto difficile onorare i genitori per il mondo che lasciano loro»".

La conclusione lascia spazio alla speranza:

«La svolta ecologica è una delle più grandi trasformazioni nella storia dell’umanità. Ma d’altra parte, questa umanità non è mai stata così esperta, così potente, così interconnessa come oggi. I presupposti ci sono, il problema non è né scientifico né tecnico, ma puramente mentale. Quindi non dovete semplicemente sopportare la quarta umiliazione. Si può fare qualcosa, il che è piuttosto confortante. E pieno di dignità».

Nel complesso però il saggio dei due autori tedeschi richiede un drastico cambio di mentalità,  sacrifici nel nostro modo di vivere e consumare che difficilmente siamo disposti ad accettare. Non si fa abbastanza e Ulrich ed Engel avvertono che

"un passo nella giusta direzione con un ritmo sbagliato è un passo sbagliato, perché nel tempo dell’esitazione si accumula sempre più anidride carbonica nell’atmosfera»".

Tuttavia questo non significa che dobbiamo sottovalutare quello che nel frattempo si sta cercando di fare, anche nel nostro Paese. In questi giorni l’Italia ha fatto il punto sulle sue politiche di sostenibilità nel corso della Conferenza nazionale per lo sviluppo sostenibile di Castelporziano (Roma). Si è parlato della Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile (Snsvs), che deve ancora essere formalmente approvata, ma che è stata ampiamente discussa con la società civile nel corso del Forum organizzato dal Mite. In questi lavori anche l’ASviS ha avuto una parte significativa, coordinando il gruppo di lavoro sulla cultura, come illustrato da Giulio Lo Iacono nel corso dell’incontro di Castelporziano. Intanto il governo italiano ha presentato all’Onu, in vista dell’High level political forum di luglio, la sua Voluntary national review, che si può consultare sul sito delle Nazioni unite. 

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