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L’Europa affronta il 2022 con grandi speranze, ma il resto del mondo corre veloce

Redazione Ansa

di Donato Speroni                                                    

"Questo tempo ci dice che dobbiamo avere più coraggio e che su certe decisioni l'Europa non può più indugiare. La pandemia non può essere considerata una parentesi, ma un forte invito a proiettarci nel futuro, a interpretare i cambiamenti dei nostri tempi e ad aprirci alla complessità del mondo. Un'Europa utile, che sappia guardare in profondità il nostro tempo, che non si accontenti di auto-conservarsi".

Apriamo l’editoriale con questa frase di David Sassoli, tratta dalla prefazione del libro "Verso casa. Il lungo viaggio dell'Europa per ritrovare se stessa” di Donato Bendicenti, ripubblicata da La repubblica. I valori per i quali si batteva Sassoli sono i nostri valori ed egli stesso ha partecipato a diverse nostre iniziative, come hanno ricordato i presidenti Marcella Mallen e Pierluigi Stefanini nell’esprimere il cordoglio dell’ASviS.

Il ricordo dello statista prematuramente scomparso ci deve accompagnare nel nostro impegno per fare dell’Europa la “campionessa dello sviluppo sostenibile”, come abbiamo detto più volte nelle nostre manifestazioni. Nonostante le tante incertezze dell’attuale situazione, a cominciare dall’impatto di Omicron, dalle prossime elezioni presidenziali francesi e dalle doglie per la nomina di un nuovo capo dello Stato in Italia, abbiamo anche ragioni di ottimismo, e "Politico" ne cita cinque.

Regole fiscali pro–investimenti. La prima di queste ragioni è il consenso che si sta consolidando sulla necessità di modificare le regole di bilancio europee, come sottolineato nella lettera di Mario Draghi ed Emmanuel Macron al "Financial times"Un patto di stabilità meno rigido, non ossessionato dai cosiddetti “frugali”, può tradursi in un aumento degli investimenti, indispensabili per la transizione ecologica. Il nuovo governo tedesco guidato da Olaf Scholz su questo punto ha una posizione più aperta rispetto a quella di Angela Merkel, anche perché deve modernizzare il suo “scricchiolante sistema di reti di trasporti pubblici, telecomunicazioni ed energia”. Insomma, l’emissione di titoli europei che ha reso possibile il Next generation Eu potrebbe essere seguita da altre offerte di bond targati Ue.

Il trio che guida l’Europa. Solo i meno giovani ricorderanno “Metti un tigre nel motore”, la campagna pubblicitaria lanciata dalla Esso nel 1966. Ma l’immagine del "tiger in the tank" è ripresa da Politico per sintetizzare l’effetto del trio Germania – Francia – Italia alla guida dell’Unione europea. Se tutto andrà bene, da aprile, passato il giro di boa delle elezioni francesi e supponendo che Draghi sia ancora in posizione di altissima responsabilità, potrebbe avviarsi l’offensiva per una effettiva integrazione europea, con il supporto del governo tedesco che considera una high priority la costruzione di una Europa più unita e più incisiva.

Il rispetto delle leggi. L’impronta tedesca si avvertirà anche nelle vertenze con la Polonia e con l’Ungheria sulla indipendenza della magistratura, la libertà di stampa e il rispetto dei diritti umani. Con l’appoggio della Germania e della Francia, la Commissione europea si sentirà più forte nell’imporre il rispetto delle deliberazioni della Corte di giustizia dell’Unione. Anche perché ha il coltello per il manico, data la possibilità di sospendere i finanziamenti a Varsavia e Budapest.

L’alleanza strategica tra Unione e Nato. In marzo, l’Unione europea dovrebbe elaborare il suo “Strategic compass”, un documento che analizzerà i rischi condivisi e dovrebbe dare concretezza alle ambizioni di difesa comune. In estate, la Nato aggiornerà il suo “Strategic concept”, per la prima volta in undici anni. Il documento del 2011 neppure menzionava la Cina e definiva la Russia un security partner. Le due elaborazioni serviranno a rafforzare la visione comune tra Nato e Unione,

"anche grazie alla nomina di un nuovo segretario generale della Nato che potrebbe essere più simpatetico di Jens Stoltenberg nei confronti degli sforzi per una difesa comune europea".

Una svolta nel dopo Brexit. Le ferite generate dall’uscita della Gran Bretagna dall’Unione potrebbero cominciare a rimarginarsi, 

"grazie anche all’uscita di scena senza rimpianti di David Frost, il truculento capo negoziatore sulla Brexit per conto di Londra. (...) Dopo un anno trascorso nella frenetica ricerca di nuovi amici in giro per il mondo facendo finta che l’Unione europea non esistesse o comunque non fosse più importante, Londra nel 2022 può finalmente essere pronta a trattare con i suoi vicini più stretti e con i suoi più importanti partner commerciali. E questo sarebbe davvero un miracolo del nuovo anno".

In questo contesto, rinvigorita dai punti di forza e di speranza elencati da "Politico", la prima grande sfida che l’Europa dovrà affrontare è quella della transizione energetica. Ogni anno, in occasione del meeting di Davos, il World economic forum produce una serie di studi importanti sulla situazione mondiale. Quest’anno l’incontro sulle nevi svizzere è stato rinviato causa Covid, ma è già stato pubblicato il “Global risks report 2022”, basato sulle risposte di oltre mille leader mondiali. Ai primi posti nelle loro preoccupazioni ci sono i temi ambientali, e in particolare il rischio di una “transizione climatica disordinata”. In sostanza, non possiamo più parlare degli impegni che riguardano l’abbattimento delle emissioni come di un pacchetto di cose da fare in futuro. Siamo già in mezzo al guado della transizione, ma come in tutti i guadi, dobbiamo evitare di farci travolgere. Perché l’abbattimento delle emissioni è indispensabile per evitare il collasso della civiltà, ma se non sarà governata adeguatamente potrebbe avere conseguenze economiche e sociali dirompenti, con la crisi di interi settori e milioni di posti di lavoro perduti, anche se altri se ne creeranno in futuro, in misura forse maggiore, ma per figure professionali diverse.

La tassonomia alla quale sta lavorando l’Unione europea dovrebbe aiutare in questo processo, indicando quali investimenti sono effettivamente utili ai fini di una ordinata transizione ecologica e quindi stimolando e incanalando l’impegno dei privati. L’"Economist espresso", la newsletter quotidiana del settimanale inglese, la paragona addirittura al gold standard, il sistema monetario ancorato all’oro che funzionò per circa un secolo, fino al 1971, quando Richard Nixon fu costretto a liberare il dollaro dal vincolo di convertire le banconote in oro dalle riserve di Fort Knox. Ma cosa c’entra la tassonomia con il gold standard? Secondo la pubblicazione dell’"Economist", potrebbe offrire

"un sistema di criteri condivisi a uso degli investitori e delle banche per valutare i propri investimenti e indurli a rilasciare più dati sulla impronta carbonica del loro portfolio. Potrebbe anche favorire la certificazione a favore degli emettitori di green bonds e di altri titoli". 

Il documento presentato dalla Commissione (550 pagine) contiene però indicazioni che fanno discutere, soprattutto in relazione al ruolo del gas naturale e dell’energia nucleare. È giusto considerare “verdi” e quindi facilitare gli investimenti in questi settori? La discussione non può esaurirsi nelle affermazioni di principio: non c’è dubbio che il gas sarà necessario per sostituire temporaneamente le centrali a carbone, ben conoscendo però i suoi difetti: si tratta comunque di un combustibile inquinante e che espone l’Europa alla dipendenza da forniture esterne, con le conseguenze anche drammatiche che si possono avere sui prezzi dell’energia, come sta accadendo in questi mesi.

Al tempo stesso, una parte degli Stati europei, a cominciare dalla Francia, fa abbondante uso dell’energia nucleare e sarà quindi necessario arrivare a un compromesso anche su questo punto. Ma se effettivamente la Commissione riuscirà ad avere il consenso degli Stati su criteri comuni di valutazione degli investimenti verdi, questo potrebbe davvero essere un gold standard, anzi un green standard valido per tutto il mondo.

Però non bisogna farsi troppe illusioni. Lo stesso Economist che plaude all’iniziativa, mette in evidenza i limiti della tassonomia: certamente utile per convogliare gli investimenti, ma non sufficiente per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione, se non si estenderà il carbon pricing, cioè la fiscalità a carico degli emettitori, che attualmente in Europa copre solo il 41% delle emissioni: più di quanto avviene nel resto del mondo, ma non abbastanza.

"Se l’Unione europea vuole davvero guidare il mondo scatenando il potere della finanza per combattere il cambiamento climatico, il mercato del carbonio dovrebbe essere il focus dei suoi sforzi".

Tassare le emissioni tuttavia incide sui prezzi e in questi tempi di risveglio dell’inflazione e di rialzo dei costi dell’energia: è certamente una leva da manovrare con molta attenzione.

La grande incognita nella transizione energetica riguarda la tecnologia, perché senza ulteriori innovazioni la scommessa della decarbonizzazione a metà secolo non potrà essere vinta. La ricerca tecnologica (e il marketing) connesso alla transizione energetica si sta muovendo rapidamente, ma non si può dire che in questo campo l’Europa sia all’avanguardia. Per esempio, Tesla, la società di Elon Musk  al top nella produzione di veicoli elettrici, ora tende a vendere un set di tre prodotti: oltre all’automobile, il Solar roof, un tetto fotovoltaico (per abbattere i costi della bolletta elettrica che con due auto elettriche da ricaricare in garage potrebbe raddoppiare, dice lo stesso Musk) e il Powerwall, un sistema efficiente di batterie di nuova concezione per immagazzinare l’energia.

Il mondo corre e Musk guida l’innovazione: non a caso il "Time magazine" gli ha dedicato la copertina come Persona dell’annoRiuscirà l’Europa a essere presente anche in questa sfida?

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