ASviS

La condivisione delle conoscenze come strumento di attuazione degli SDGs

Redazione Ansa

Si è svolto lunedì 5 ottobre, in diretta streaming dall’Auditorium Macro di Roma con ospiti in presenza e in collegamento, l’evento “Condividere le conoscenze per l’accesso alla scienza, alla tecnologia, all’innovazione per il benessere delle persone e del pianeta”, organizzato dal Gruppo di lavoro dell’ASviS sul Goal 17 “Partnership per gli Obiettivi”, coordinato dall’Associazione delle ong italiane cooperazione e solidarietà internazionale (Aoi), e con il contributo dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics).

Gemma Arpaia, coordinatrice del Gruppo di lavoro dell’ASviS sul Goal 17, ha aperto la giornata introducendo i temi centrali dell’evento: il primo panel focalizzato sulle piattaforme di conoscenze e best practice condivise a livello globale sui vaccini nella lotta al Sars-Cov-2; il secondo incentrato sull’esempio di resilienza che ha dato l’Africa proprio in risposta alla pandemia.

A seguire ha preso la parola, in qualità di moderatore, Luca Maestripieri, direttore Aics, il quale ha ringraziato l’ASviS per la continuativa e proficua collaborazione, definendo l’Alleanza quale “partner naturale” dell’Agenzia nel rappresentare e testimoniare in concreto l’impegno del Paese nella realizzazione degli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Maestripieri ha spiegato come la pandemia abbia costretto anche l’Aics a rivedere azioni, obiettivi e piani operativi, ma come, al tempo stesso, si sia rivelata anche una grande occasione di riflessione per capire che le sfide globali richiedono sforzi comuni e partenariati forti. Ha dunque aperto ufficialmente i lavori invitando gli ospiti a esaminare lo stato dell’arte nell’azione per affrontare la sfida di contenere il virus a livello globale attraverso una messa a fattor comune delle conoscenze disponibili.

Enrico Giovannini, portavoce dell’ASviS, ha aperto il suo intervento ringraziando la vice ministra per gli Affari esteri e la cooperazione internazionale Emanuela Del Re, per aver sostenuto l’idea di portare il Festival in giro per il mondo coinvolgendo le ambasciate e le Agenzie italiane di cooperazione locali, e ha ribadito come la collaborazione con il Maeci sia straordinariamente importante e tempestiva proprio per le sfide attuali da affrontare. Giovannini ha ricordato poi che il Festival si concluderà l’8 ottobre proprio alla Farnesina, occasione in cui sarà presentato il Rapporto ASviS 2020 sullo stato di avanzamento dell’Italia rispetto agli Obiettivi di sviluppo sostenibile.

Il portavoce si è soffermato sul ruolo del multilateralismo, evidenziando alcuni risultati positivi come la lotta all’ebola o alla poliomielite, che è stato possibile raggiungere solo grazie all’impegno comune di tanti Paesi. Ha sottolineato anche l’attuale contributo dell’Aics e dell’Italia allo sforzo europeo di far avere i vaccini a tutti e non solo ad alcuni, superando le difficoltà economiche con un grande senso di responsabilità. Anche rispetto alla finanza sostenibile, le imprese italiane stanno accentuando la loro azione in ottica di sostenibilità, fattori incoraggianti che quindi devono accelerare la transizione verso investimenti sostenibili. Tra le misure adottabili, ci sarebbe l’imposizione di una carbon tax per chi esporta verso l’Europa prodotti che non rispettano gli standard non solo ambientali ma anche sociali di sostenibilità. E proprio in relazione alla scelta europea di mettere l’Agenda 2030 al centro delle politiche, Giovanni ha posto l’accento sulla necessità che queste siano improntate ad un principio di coerenza e che tale approccio liberi risorse anche per la cooperazione italiana tanto impegnata in Africa, affinché il continente imbocchi un’accelerazione nella giusta direzione, scongiurando conseguenze di difficile gestione in termini di nuovi ingenti flussi migratori. In questo lo sforzo e la cultura della cooperazione è cruciale. In occasione della presidenza italiana del G20, l’ASviS metterà sul tavolo la proposta della cancellazione del debito per i Paesi più poveri.

Ranieri Guerra, vice direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), ha parlato della situazione globale dei contagi che attualmente ammontano a circa 35 milioni, con 235 zone del mondo che riportano casi, fattore che consente di comprendere come sta andando l’epidemia e come supportare i Paesi meno avanzati. Proprio per rispondere a tale sfida con un’azione comune, l’Oms ha chiamato a raccolta tutte le agenzie Onu, le strutture di ricerca, le università, le organizzazioni non governative, ma anche i privati, dando vita all’Access to covid tool (Act) Accelerator, un’iniziativa globale con un programma stimato intorno ai 31 miliardi di dollari per mettere a disposizione di tutti i Paesi fondi per la diagnostica (6 miliardi), per il vaccino (18 miliardi) e per le cure (7,5 miliardi).  Al momento ci sono 853 test in corso, 750 di questi sono stati già commercializzati, mentre 20 milioni di test rapidi sono stati già inviati dall’Oms. Molte risorse sono state però finora disperse a causa di trial non attendibili pertanto, in un’ottica di partnership, sarebbe opportuno concentrare le risorse con una partecipazione più estesa. La componente vaccini è quella attualmente sotto i riflettori, con una quarantina di candidati in fase clinica, e altri 150 in fase preclinica. Di questi, tre probabilmente andranno già a buon fine entro l’anno. Su questo fronte, Gavi (Global alliance for vaccine), Cepi (Coalition for epidemic preparedness innovations) e l’Oms sono in prima fila. Accanto a tutto ciò, c’è un quarto pilastro che è quello del rinforzo del sistema sanitario su cui sono impegnate la Banca mondiale e il Fondo globale, ma che richiederebbe un monitoraggio indipendente sull’effettivo uso dei fondi destinati ai Paesi meno sviluppati. Allo stato attuale, 160 Paesi hanno aderito all’Act e, tra questi, l’Italia che si è spesa molto sia dal punto di vista politico che economico, affermandosi come un partner fondamentale per il multilateralismo.

Stefano Vella, professore di Salute globale dell’università Cattolica, ha riportato l’esempio della lotta all’Hiv, contesto in cui il multilateralismo ha funzionato molto bene, coronato dalla nascita nel 2000 del Global Fund, il fondo globale che si occupa di procurement e di sistemi sanitari per malattie come Aids, malaria e tubercolosi, ma che in questa fase è molto impegnato anche sul Covid-19 e sui diagnostici, cruciali per tracciare e isolare il virus fino a quando non sarà disponibile il vaccino. Negli ultimi anni si è però affievolito il multilateralismo perché i fondi destinati al Global fund sono diminuiti e l’impegno sulle altre malattie è stato rallentato dall’insorgere del covid.  

Il vaccino che verrà dovrà essere per tutti, non solo per una considerazione etica ma anche pratica perché l’epidemia è globale. L’accesso globale ai vaccini è un tema affrontato dall’Oms e da tantissimi Paesi, ma la lezione più importante è che il mondo ha bisogno di un bagno di umiltà e di prepararsi alle prossime pandemie, investendo sulla preparedness.

Stefania Burbo, coordinatrice del Network Italiano Salute Globale, ha illustrato il ruolo delle organizzazioni della società civile che operano in senso trasversale ma partendo dal focus salute nei Paesi a risorse limitate. In ottica di salute pubblica e dell’importanza della coerenza delle politiche, la pandemia ha dimostrato che per dare una risposta efficace è fondamentale avere un approccio interdipendente. Il Covid potrebbe portare alla povertà nei prossimi anni 71 milioni di persone, si stima fino a 100 milioni tra Africa e Asia meridionale. Ci sono degli impatti indiretti sulle altre malattie come malaria, aids, tubercolosi che rischiano di provocare decessi esponenziali; peggiori condizioni economiche sociali, acuite disuguaglianze di genere, perché il lockdown confina donne e ragazze con violenze domestiche. Quindi il covid ha acuito delle criticità già presenti, ma ha creato anche delle opportunità di collaborazione tra le organizzazioni stesse della società civile, istituzioni, università e imprese. Si è rafforzata la cooperazione con le agenzie Onu, con i ministeri della salute dei vari Paesi e con i rispettivi sistemi sanitari locali o centri di salute rurali, senza considerare il rapporto con le università e gli ospedali a livello europeo per gli aspetti di validazione tecnica delle buone pratiche. Un esempio su tutti è quello delle ong bresciane che hanno siglato un accordo con l’azienda, anch’essa bresciana, che durante la pandemia ha prodotto le maschere in 3d per la respirazione meccanica, per poi trasferire nei Paesi a risorse limitate questi dispositivi mettendoli a disposizione dei sistemi sanitari nazionali gratuitamente. Coinvolgere le comunità fa sì che i sistemi sanitari siano più resilienti. Nei Paesi in via di sviluppo non c’è infatti solo un problema di accesso alle cure, ma anche di continuità delle cure dovuto spesso ad uno stigma sociale. È importante che ci sia il coinvolgimento delle comunità anche nella fase dello sviluppo, applicazione e monitoraggio delle politiche in qualità di rights holders e non soltanto di stakeholders. La pandemia ha messo in evidenza queste criticità.

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di Elita Viola

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