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QUESTA SETTIMANA: Solo l’Europa di Ursula può rilanciare l’Agenda 2030

Redazione Ansa

Non è un bel quadro, quello che si ricava dalla relazione annuale del segretario generale dell’Onu António Guterres sull’attuazione dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030. I progressi erano già stati troppo lenti nel 2019, ma l’esplodere della pandemia ha riportato molte pedine al punto di partenza o quasi.

La relazione viene preparata tutti gli anni in vista dell’High level political forum (Hlpf), l’incontro di verifica che si svolge a New York in luglio, nel quale i Paesi firmatari dell’Agenda presentano le loro National voluntary reviews (Nvr), i consuntivi del lavoro finora compiuto in attuazione degli SDGs. Quest’anno la riunione, Covid-19 permettendo, dovrebbe svolgersi con partecipazione fisica dal 7 al 16 luglio. Il tema enfatizza forte auspicio “Un’azione accelerata e percorsi trasformativi: come realizzare il decennio di azione e realizzazione per lo sviluppo sostenibile”. Ricordiamo che la Decade of action and delivery for sustainable development era stata lanciata da Guterres nel settembre scorso, nel corso dell’Assemblea generale dell’Onu dedicata appunto a un primo bilancio dell’Agenda 2030 quattro anni dopo la firma, che aveva constatato un progresso troppo lento per raggiungere gli SDGs. I Paesi che presenteranno le loro Nvr al prossimo Hlpf saranno 51 di cui 11 europei; 22 Paesi presenteranno la Nvr per la seconda volta. Ricordiamo che l’Italia ha presentato la sua Nvr nel 2017 e prevede di presentare un aggiornamento il prossimo anno.

Nel 2019, secondo il rapporto di Guterres, qualche progresso c’era stato: era diminuita la fascia di popolazione mondiale in situazione di povertà estrema, era stata ulteriormente abbattuta la mortalità infantile, era aumentato il numero delle persone collegate alle reti elettriche, era cresciuto il numero dei Paesi che avevano preparato programmi di sviluppo sostenibile e stipulato accordi internazionali per la protezione dell’ambiente. Per molti Obiettivi, però, le cose non andavano bene: erano in aumento le persone che soffrivano la fame, erano aumentate le disuguaglianze, non c’era stato un progresso adeguato nella lotta al cambiamento climatico.

Poi è arrivata la pandemia, che ha avuto effetto su quasi tutti gli Obiettivi. Ha ricacciato milioni di persone nella povertà estrema (Goal 1) e ha esasperato le disuguaglianze (Goal 10), ha privato 370 milioni di bambini dei pasti a scuola (Goal 2), ha messo in risalto le debolezze dei presidi sanitari dei paesi più poveri (Goal 3) un quarto dei quali è senza elettricità (Goal 7) e non ha un accesso adeguato all’acqua pulita (Goal 6) , ha sospeso la scuola per 1,6 miliardi di studenti (Goal 4). E ancora: ha aumentato la violenza contro le donne durante il lockdown (Goal 5), ha tolto il lavoro (Goal 8) all’equivalente di 305 milioni di lavoratori full time (molti di più se si considera la quantità di lavoratori part time) e ha bloccato la crescita delle attività manifatturiere (Goal 9). Le condizioni di vita negli slums delle grandi città dei Paesi in via di sviluppo sono peggiorate significativamente (Goal 11), sono aumentate le tensioni sociali (Goal 16) e molti capitali sono defluiti dai Paesi emergenti (Goal 17). Gli unici segnali positivi, ma che vanno poco al di là del wishful thinking, sono che la pandemia potrebbe consentire di accelerare la transizione verso le energie pulite (Goal 13) e di ripensare i cicli di produzione favorendo l’economia circolare (Goal 12).

Un quadro meno formale, ma estremamente vivido, dell’impatto mondiale del Covid-19 si può ricavare dall’inchiesta dell’Economist sull’aumento della povertà globale. Nello stile del giornalismo anglosassone, racconta una serie di storie personali: la cameriera in Uganda che ha perso il lavoro in albergo e ora può permettersi un solo pasto al giorno; il lustrascarpe di Città del Messico che non ha più niente da lucidare perché la gente non va più in ufficio; il tassista di Calcutta costretto a vendere il suo motorbike, perdendo così per il pane di oggi i mezzi di sussistenza in futuro. Secondo una stima del King’s College di Londra riportata dal settimanale, il numero di persone ricacciate in povertà estrema potrebbe aumentare di 420 milioni, anche perché si sono inaridite le rimesse dei migranti che davano da vivere a molte famiglie dei Paesi più poveri. Anche molti immigrati hanno perso il lavoro e faticano a campare, magari senza poter contare sugli aiuti destinati ora prioritariamente ai cittadini dei Paesi più ricchi.

Si finisce la lettura dell’inchiesta dell’Economist con un grande senso di angoscia. Che fare? Come aiutare il mondo se gli stessi Paesi più avanzati sono alle prese con un drastico calo della ricchezza prodotta? La risposta è chiara, anche se forse non molto popolare in certi ambienti: dobbiamo rimetterci in piedi in fretta anche per poter aiutare gli altri. Non solo per ragioni umanitarie, ma per evitare che, come avverte Guterres, il mondo sia scosso da tensioni sociali incontrollabili.

Soltanto l’Europa può essere protagonista di questo riscatto. La proposta della Commissione europea presieduta da Ursula van der Leyen Next generation Eu, presentata mercoledì 27, è importante sotto molteplici aspetti. Innanzitutto, perché offre strumenti efficaci per accelerare la ripresa dei Paesi colpiti dal Covid-19. In secondo luogo, con l’emissione di bond europei, fa fare un passo avanti sostanziale all’integrazione europea, che non può avere solo una moneta comune, ma ha anche bisogno di una politica economica e fiscale comune. Infine, perché ribadisce gli obiettivi dell’European green deal di lotta alla crisi climatica, difesa dell’ambiente e stimolo ad una crescita economica green, obiettivi verso i quali devono essere indirizzati i nuovi investimenti. Pochi giorni prima, peraltro, la Commissione aveva adottato due Strategie fondamentali per il Green deal: una per la biodiversità e l’altra from farm to fork, per un sistema alimentare equo, salutare e ambientalmente sostenibile.

Il significato di queste scelte è chiaro e ci sembra unico nel contesto mondiale: nonostante la gravissima crisi da Coronavirus, la Commissione van der Leyen tiene ferma la barra sugli Obiettivi dell’Agenda 2030 per l’Unione europea. Ma poiché questi Obiettivi non possono essere raggiunti in un solo continente, queste scelte presuppongono anche un nuovo protagonismo sul teatro globale.

Tuttavia, l’Europa fa ancora registrare profonde differenze nella capacità di perseguire gli Obiettivi di sviluppo sostenibile, come emerge chiaramente dall’analisi degli indicatori dei 17 SDGs compiuta dall’ASviS.  I 27 Paesi dell’Ue saranno disposti a seguire Ursula sulla strada di un maggiore impegno comune? Nel corso del secondo incontro ASviS Live “Verso una ripresa trasformativa all’insegna della resilienza e della sostenibilità”, il presidente del Parlamento europeo David Maria Sassoli, dialogando con il portavoce dell’ASviS Enrico Giovannini si è detto ottimista sul progresso del progetto Next generation Eu, ma anche sul processo stesso di integrazione europea.

"È iniziata una stagione per la costruzione dell’unione politica. Dovremo ancora discutere nello spirito della democrazia, ma dobbiamo crescere insieme guardando soprattutto ai giovani. Nel semestre tedesco che inizia il 1° luglio sarebbe importante andare verso la conferenza sul futuro dell’Europa che è stata ritardata a causa della pandemia, ma che è importante per ridefinire il ruolo della democrazia europea".

Non è stato solo Sassoli a riferirsi ai giovani, perché questo tema ha avuto un ruolo rilevante nell’evento dedicato alle imprese e al lavoro. Sotto molti aspetti: perché i giovani sono naturalmente portati a essere protagonisti quando si parla di processi di digitalizzazione, per la necessità di una formazione adeguata, per il ruolo dei territori che devono contribuire a offrire loro condizioni attrattive e anche, last but not least, perché saranno loro, nel medio e lungo termine, a dover ripagare il gigantesco debito che stiamo caricando sulle loro spalle per uscire da questa crisi. Come Giovannini non si stanca di ripetere, è giusto che abbiano voce in capitolo, ben sapendo che i giovani sono i più attenti alle necessità di uno sviluppo rispettoso dell’ambiente, del clima, della giustizia sociale.

di Donato Speroni

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