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Questa settimana: l’Europa potrà guidare il mondo verso la sostenibilità?

Redazione Ansa

Non sono stato originale nei miei doni di Natale: ho regalato libri. Visitando alcune librerie mi ha colpito la quantità di volumi ben esposti, soprattutto nelle sezioni internazionali, che parlavano del futuro. Insomma, il futuro vende: sembra aumentata la voglia di guardare avanti e di interrogarsi sui possibili scenari, forse alimentata anche dalle crescenti preoccupazioni sul clima e sulle sorti del Pianeta. O meglio, sulle sorti dell’umanità, visto che il Pianeta se la caverà comunque ancora per qualche miliardo di anni.

La preoccupazione può davvero trasformarsi in azione? Mira proprio a questo la “Decade of action”, che le Nazioni unite avvieranno il 22 gennaio. Si tratta di un piano che prevede tre livelli, in vista dell’attuazione dell’Agenda 2030: un’azione globale per soluzioni più efficienti nell’uso delle risorse; un’azione locale che incorpori transizioni significative nelle politiche, nelle istituzioni e nei quadri normativi di governi, città e autorità locali; un’azione individuale da parte di giovani, società civile, media, settore privato, sindacati, università e altre parti interessate. Amina Mohammed, vicesegretaria generale delle Nazioni Unite, presentando l’iniziativa ha sottolineato che “il Decade of action è un'opportunità per correggere la rotta”.

In questo contesto, l’Europa può davvero assumere una funzione di leadership, ben delineata dallo “European green deal”. Una parte importante di questo piano, lo “European green deal's investment plan”, è stato presentato martedì 14 dalla Commissione von der Leyen al Parlamento europeo: un piano da mille miliardi di investimenti in dieci anni. Come spiega il sito della Commissione,

La normativa europea sul clima sancirà per la prima volta nella legge l'obiettivo della neutralità climatica dell'Ue entro il 2050. Ciò significa emettere meno biossido di carbonio ed eliminare dall'atmosfera quello emesso. Per farlo è necessario estendere ad altri settori il sistema di scambio di quote di emissione che già aiuta l'Ue a ridurre le emissioni dei settori energetico e industriale. Lo sviluppo di fonti di energia più pulite e di tecnologie verdi ci consentirebbe di produrre, viaggiare, consumare e vivere rispettando di più l'ambiente. Occorre sviluppare un'economia realmente circolare e proteggere la biodiversità.

In particolare, il Green deal europeo prevede un percorso per una transizione giusta e socialmente equa. È concepito in modo da non lasciare indietro nessun individuo e nessuna regione in questa grande trasformazione.

Più in dettaglio, il Piano si basa su tre dimensioni:

Il finanziamento: ci si propone di mobilitare almeno mille miliardi di investimenti sostenibili nel prossimo decennio, con una spesa sulle azioni climatiche ed ambientali senza precedenti nel budget dell’Unione, ma con un contributo importante anche di fondi privati e un ruolo fondamentale della Banca europea degli investimenti.

L’abilitazione: fornire incentivi per liberare e reindirizzare investimenti pubblici e privati. La Ue metterà a disposizione degli investitori nuovi strumenti che mettano la finanza sostenibile al centro del sistema finanziario; faciliterà investimenti sostenibili da parte delle autorità pubbliche, attraverso forme di incoraggiamento ad acquisti e bilanci verdi; verranno delineate procedure per facilitare l’aiuto di Stato nelle regioni più colpite dalle esigenze di giusta transizione.

Il supporto pratico: la Commissione aiuterà le autorità pubbliche nella programmazione, messa a punto ed esecuzione di progetti sostenibili.

Particolare attenzione verrà dedicata alla Giusta transizione, con un meccanismo ad hoc, il Just transition mechanism (Jtm), finanziato con 100 miliardi di euro dal 2021 al 2027, per aiutare i territori maggiormente esposti sul piano socioeconomico. Si precisa che il Jtm non riguarda soltanto il finanziamento, ma:

sulla base di una piattaforma per la giusta transizione, la Commissione fornirà assistenza tecnica agli Stati membri e agli investitori e si assicurerà che le comunità, le autorità locali, i partner della società civile e le Ong vengano coinvolti nella gestione. Il Jtm includerà un forte contesto di governance basato su piani territoriali di giusta transizione.

Tra i territori beneficiati da questo meccanismo dovrebbe esserci anche l’area di Taranto per una riconversione sostenibile degli impianti di Taranto ex-Ilva.

Non sarà certo facile raggiungere l’obiettivo di un’Europa carbon neutral entro il 2050. Innanzitutto, sarà necessario definire bene il carattere di questa neutrality: parliamo soltanto di emissioni zero in relazione a beni e servizi prodotti in Europa o, come si dovrebbe fare più correttamente, ma con modalità sicuramente più impegnative, delle emissioni zero anche per tutti i beni e servizi consumati sul continente, perché un cellulare prodotto in Cina ma utilizzato in Europa ha comunque un impatto sulle emissioni nell’atmosfera e quindi sull’effetto serra?

La più grande difficoltà sarà comunque quella di raggiungere un consenso su questi obiettivi da parte di tutti i 27 Paesi dell’Unione, compresi quelli come la Polonia che, per i loro consumi energetici, dipendono ancora in larga misura dalla produzione di carbone, il fossile più inquinante. E poi c’è il problema non banale del reperimento di quei mille miliardi, che solo in parte dovrebbero provenire dal bilancio europeo, con l’obiettivo di mobilitare anche consistenti investimenti privati. Su questo punto però von der Leyen può contare anche sul supporto della nuova presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde. Come hanno scritto Geneviève Ferone Creuzet e Jean-Bernard Lévy su Les Echos,

Le due dirigenti hanno allineato le loro agende e si sono date sei mesi per mettere in carreggiata una risposta europea molto ambiziosa, al livello dei 2600 miliardi di euro investiti nella politica monetaria espansiva di Mario Draghi.

Infine, per assumersi una effettiva leadership globale nella evoluzione verso lo sviluppo sostenibile, non basta dare il buon esempio. Le sfide da affrontare sono numerose, dal contrasto al negazionismo dell’amministrazione americana alla necessità di assistere i Paesi in via di sviluppo nella loro crescita con l’impiego di fonti energetiche pulite, dall’aiuto ai territori nel mondo comunque colpiti da fenomeni di desertificazione o dall’innalzamento delle acque alla gestione degli imponenti flussi migratori messi in moto dalla crisi climatica. Negli ultimi anni l’Europa ha mancato di dimostrare una presenza coesa ed efficace a livello mondiale: quanto sta accadendo in Libia in questi giorni ne è una ulteriore conferma. La Cop 26 di Glasgow, alla fine di quest’anno, sarà il momento nel quale gran parte dei Paesi, se non tutti, dovrebbe rinnovare e intensificare gli impegni per la mitigazione e sarebbe importante che anche in questa preparazione l’Unione fosse in grado di svolgere un ruolo di rilievo.

Nel complesso, sembra difficile immaginare un’Europa che sia davvero “campionessa di sviluppo sostenibile” se non cambia la natura stessa dell’Unione europea. È quanto affermano le oltre 40 organizzazioni della società civile (compresa l’ASviS) che l’8 gennaio a Milano hanno sottoscritto il documento “Empower citizens for the future of Europe”, che si propone di “spingere le istituzioni europee verso la creazione di un’Europa più giusta, equa, resiliente e inclusiva”. La Conferenza sul futuro dell’Europa che, nelle intenzioni di von der Leyen, dovrebbe tenersi quest’anno, potrebbe essere l’occasione per dare concretezza a questa riflessione. 

E l’Italia? Anche il nostro Paese ha un Green deal, annunciato all’avvio del nuovo governo. Qualche passo avanti è stato fatto con la Legge di bilancio 2020, ma da più parti si considera il risultato insoddisfacente: per Stefano Lenzi di Sbilanciamoci “l’Italia è ancora al palo”. L’ASviS ha in corso un’analisi dettagliata della Legge di bilancio 2020 alla luce dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile e presenterà il suo documento il 26 febbraio. Dopo l’annuncio di questo evento, nel giro di 24 ore abbiamo ricevuto quasi 300 richieste di partecipazione, a conferma della crescente attenzione alle iniziative dell’Alleanza.

di Donato Speroni

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