Abruzzo

Moti aquilani: antropologa, grido allarme tutte aree interne

Giancristofaro (UniChieti), emblema fuga da montagna e crisi 900

Redazione Ansa

(ANSA) - PESCARA, 08 MAR - I Moti aquilani furono un grande momento di verità, irrrisolto, per l'intero Paese perchè "I Moti hanno avuto il grande merito di aver svelato il problema del 900 abruzzese e di tutto l'Appennino: la fuga dalla montagna verso la costa. Si è impoverita una intera area e resta sempre valida questa domanda: e ora che ne facciamo delle aree interne? I Moti quindi furono la rivendicazione dell'identità delle aree interne, tra ricchezza e povertà, un grido tipo noi siamo qua, e necessitava di una risposta sistemica". Lo dice all'ANSA la professoressa Lia Giancristofaro, titolare della cattedra di antropologia culturale presso l'Università D'Annunzio.
    Per la Giancristofaro " era un allarme di tipo nazionale, perché la cosa riguardava tutto l'Appennino, è tutta una civiltà tagliata fuori".
    Per questi motivi il ricorso alla memoria, prima ancora che alla politica, impossibilitati a chiedere ben poco al sistema economico,in Abruzzo quindi si è fatto anche ricorso ad una terapia della memoria, fa capire la professoressa Giancristofaro., perchè "La memoria abruzzese ha un sussulto negli anni 80, con la nascita delle feste popolari, con un percorso in parte nazionale e ispirato dalla storia con la funzione di 'sostituire' le feste patronali, ma anche qui il lavoro è stato degli 'storici', è effetto di ricerche, vedi Mastrogiurato, Sulmona, Perdonanza: anche in questo caso si è trattato di una autocelebrazione e di un governo dell'immaginario locale - prosegue la studiosa - Risistemare gli equilibri politicamente corretti e contribuire alla ricerca identitaria, partecipando alle sfilate ecc. Le feste insomma furono un antidoto non so se per un complesso di inferiorità, ma certamente la politica non è neutra, perché si tratta di una autocelebrazione anche con funzione integrativa, ti metti allo specchio, ti dai una immagine e questo è un bene. A Pescara questo non c'è, mentre c'è forte all'Aquila, a Lanciano perché sono fuori traiettoria. Pescara pensa di avere ricchezze 'altre', vive per concentrazione demografica, di questa memoria non sente bisogno perché non si sente dimenticata: il ricorso alla ricreazione della memoria è più forte nelle aree che si sentono ai margini. Pescara infatti ha una vita densa di non luoghi, ma per un 20enne la vita è lì".
    C'è da segnalare "la costante della ricerca di identità e memoria è per quei territori che sono fuori dalle linee demografiche, tra la costa e i monti, tra le aree interne e il mare, e infatti i Moti questo furono. La pescarizzazione della costa adriatica ha rafforzato la distanza tra centro e periferia e fatto sorgere il bisogno di recupero di memoria della aree interne, i Moti certificarono questo. La montagna ha bisogno della nostalgia della memoria e questo crea conflitto. Vedi il turismo: Roccaraso certifica la sua pescarizzazione, così come il paradigma è Pescara-Rimini, e Roccaraso-Ortisei, ossia un luogo la cui funzione è soprattutto economia, quantità, però è un fenomeno fragile, vedi la pandemia che sta rimettendo tutto questo in discussione. La strada giusta sarebbe quella di una agricoltura sostenibile, con più spazio per le persone in armonia, con una socialità più rarefatta con più paracaduti sociali". (ANSA).
   

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