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Papa: Sarajevo, mai più la guerra!

Orrori guerra raccontati da religiosi. Si è parlato anche di Ue

06 giugno, 19:03
(ANSA) - SARAJEVO, 6 GIU - "Oggi, cari fratelli e sorelle, si leva ancora una volta da questa città il grido del popolo di Dio e di tutti gli uomini e le donne di buona volontà: mai più la guerra!". Così papa Francesco durante la messa allo stadio Kosevo di Sarajevo. "La guerra significa bambini, donne e anziani nei campi profughi - ha sottolineato il Pontefice -; significa dislocamenti forzati; significa case, strade, fabbriche distrutte; significa soprattutto tante vite spezzate".

"Voi lo sapete bene, per averlo sperimentato proprio qui - ha aggiunto -: quanta sofferenza, quanta distruzione, quanto dolore!".

Orrori guerra raccontati da religiosi "Molti mi suggerirono di scappare. Ma io non ho voluto lasciare soli i miei parrocchiani. Lo stesso hanno fatto quasi tutti i sacerdoti della mia diocesi, tra i quali otto sono stati uccisi o sono morti per le conseguenze delle torture". Ha rivissuto gli orrori della guerra nei Balcani degli anni '90, papa Francesco, nell'incontro con il clero nella cattedrale di Sarajevo.

Drammatiche le testimonianze del conflitto fratricida ascoltate da un prete, un frate e una suora. Come quella di don Zvonimir Matijevic, sacerdote di Banja Luka. "La Domenica delle Palme, il 12 aprile 1992, dopo la messa i soldati mi hanno catturato e portato nella città di Knin, nella vicina Croazia. Più volte mi hanno percosso fino al punto di farmi perdere conoscenza a causa del dolore. Hanno cercato di farmi dire, pubblicamente in televisione, che sono un criminale di guerra, che i sacerdoti sono criminali e che educano criminali". Ma don Zvonimir, che per quello che ha subito oggi è affetto da sclerosi multipla, era piuttosto pronto a morire. "Hanno deciso di portarmi all'ospedale in fin di vita - ha ricordato, con la voce che si incrinava -. Il medico ha dovuto, con un intervento chirurgico, estrarre numerosi grumi di sangue. In seguito mi hanno detto di avermi somministrato sei dosi di sangue per farmi sopravvivere".

Il Papa, al termine della testimonianza, ha abbracciato lungamente il sacerdote e si è chinato a baciargli le mani.

Anche il francescano fra' Jozo Puskaric si commuove mentre rievoca e viene poi abbracciato dal Papa. "Il 14 maggio 1992 poliziotti serbi sono arrivati nella casa parrocchiale e mi hanno portato al campo di concentramento, insieme a molti miei parrocchiani, pur non avendo fatto nulla di male. La parrocchia, a Bosanski Samac, è rimasta senza popolazione e la maggior parte delle case distrutte". Fra' Puskaric, che allora aveva 40 anni, ha detto di aver trascorso quattro mesi nel campo di concentramento: 120 giorni sono stati come 120 anni o più.

Abbiamo vissuto in condizioni disumane! Per tutto il tempo abbiamo patito la fame e la sete; in tutti quei giorni e quelle notti abbiamo vissuto senza le minime condizioni igieniche, senza poterci lavare, rasare, tagliare i capelli; ogni giorno venivamo maltrattati fisicamente, picchiati, torturati con diversi oggetti, con le mani e con i piedi... Colpendomi, mi hanno rotto, tra l'altro, tre costole". Inumani anche i trattamenti raccontati da suor Ljubica Sekerija, delle Figlie della Divina Carità, che allora era a Travnik, in Bosnia centrale. "Quando è scoppiata la guerra, sono comparsi miliziani stranieri provenienti da alcuni paesi arabi del Medio Oriente", ha rammentato, spiegando di essere stata portata via il 15 ottobre 1993 da combattenti armati con un camioncino insieme al parroco don Vinko e a tre laici della Caritas. Nel loro quartier generale, "i miliziani hanno costretto don Vinko a calpestare il mio rosario con le sue scarpe. Lui ha rifiutato. Uno dei miliziani, sguainando la sua spada, ha minacciato il parroco di massacrarmi se non avesse calpestato e profanato il rosario.

Allora ho detto al parroco: 'Don Vinko, lasciate pure che mi uccidano, ma, per l'amore di Dio, non calpestate il nostro oggetto sacro'". La religiosa ha ripercorso le continue provocazioni e umiliazioni, gli insulti osceni ricevuti, i calci, le percosse. "In quei momenti difficili, don Vinko ci ha detto sottovoce: 'Non temete, vi ho dato l'assoluzione a tutti.

Ora siamo pronti a morire in pace!'". "Quella notte ci hanno picchiato tutti", ha ricordato la suora. A un certo punto "ho sentito la canna del fucile sulla mia fronte e una voce che mi ordinava di confessare l'Islam come unica e vera religione. Ero spaventata ma restavo zitta, e la stessa voce mi ha ordinato di non riferire a nessuno quelle cose, altrimenti la mia testa sarebbe finita all'inferno. Ho pensato che fosse arrivato il momento della mia morte". Suor Ljubica, poi liberata da un altro miliziano, oggi può raccontare quell'esperienza. Ma le ferite dentro restano ancora aperte.

Si è parlato anche di Ue Il tema dell'integrazione europea della Bosnia-Erzegovina è stato evocato a più riprese, anche se non era al centro della visita pastorale di papa Francesco oggi a Sarajevo, sia nelle parole del pontefice che nei colloqui che il segretario di Stato Pietro Parolin e il sostituto della segreteria di Stato Giovanni Angelo Becciu hanno avuto con il premier bosniaco Denis Zvizdic.

Un tema, quello europeo, che purtroppo, a livello politico, è stato penalizzato negli ultimi anni per via dei continui contrasti e veti incrociati ad opera delle tre componenti etniche e religiose della Bosnia-Erzegovina (bosniaci musulmani, serbi ortodossi, croati cattolici), causa principale dello stallo nelle riforme chieste da Bruxelles per progredire sulla strada dell'integrazione nelle Ue. E' per questo che la Bosnia-Erzegovina, tra i Paesi della ex Jugoslavia, è il fanalino di coda, quello più in ritardo in fatto di integrazione nella Ue. Slovenia e Croazia fanno già parte dell'Unione, Serbia e Montenegro hanno ottenuto lo status di Paese candidato e hanno avviato il negoziato di adesione, la Macedonia ha sì lo status di Paese candidato già da anni ma, a causa dei contrasti con la Grecia sulla questione del nome, non ha ancora cominciato il negoziato con Bruxelles. Il Kosovo merita un discorso a parte, anche perchè l' indipendenza dalla Serbia proclamata nel 2008 non è riconosciuta da cinque Paesi Ue. "La Bosnia-Erzegovina è parte integrante dell'Europa", ha detto Papa Francesco nel discorso dinanzi ai membri della presidenza tripartita. Per il percorso di pacificazione, ha aggiunto, "sono fondamentali la vicinanza e la collaborazione della comunità internazionale, in particolare dell' Unione Europea". E il sostegno del Papa alla causa europea della Bosnia-Erzegovina è stato evocato apertamente dalla dirigenza di Sarajevo. "Speriamo - ha osservato il serbo Mladen Ivanic, presidente di turno della presidenza collegiale - che le porte dell'Unione europea restino aperte a tutti i Paesi dell'Europa sudorientale, e che attraverso un processo di riforme riusciremo a diventarne membri. In Lei, Santo Padre, poniamo la speranza che ci aiuterà in questo". A confermare tali aspettative è stato il direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi.

"Naturalmente il Papa e le autorità della Santa Sede non hanno competenze politiche specifiche", tuttavia nel suo discorso Bergoglio ha detto - ha sottolineato Ivanic - che "la Bosnia-Erzegovina è parte integrante dell'Europa, sostenendo con ciò l'inserimento del Paese nella realtà globale del continente". Per accelerare il cammino europeo della Bosnia-Erzegovina, Bruxelles - adottando una proposta anglo-tedesca - chiede al Paese balcanico di privilegiare le riforme sociali ed economiche rispetto a quelle politiche e istituzionali (più soggette a veti e blocchi), al fine di poter ottenere in tempi ragionevoli lo status di Paese candidato. E il primo giugno scorso è entrato in vigore l'Accordo di associazione e stabilizzazione (Asa) tra Bosnia e Ue, primo importante passo sulla strada dell'integrazione europea. (ANSA).

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